Andrea Laiolo, I figli del mattino

“I figli del mattino” di Andrea Laiolo è una elegante e piacevolissima raccolta di racconti che hanno come tema di fondo la città di Siena. Non l’arte senese, non gli artisti senesi, ma Siena nella sua interezza. So bene che la prima impressione che il lettore ricava dalla quarta di copertina e dai titoli dei tredici capitoli è un’altra, è, per così dire, più limitante per quanto concerne l’ambito tematico. Nella quarta di copertina, infatti, si legge: “Tredici pittori, alcuni attivi anche come scultori, dell’antica Scuola Senese: tredici racconti ispirati alle loro opere e, talvolta, anche al loro profilo umano”.

Tra i titoli dei capitoli, invece, accade di imbattersi in “L’arte del guardare”, “Il transito”, “L’innocenza d’Eva”, “Il Maestro dell’esultanza”, “Benvenuto in Paradiso”, “I viaggi di Neroccio di Bartolomeo”.  Eppure, questa prima impressione coglie solamente un aspetto del libro di Antonio Laiolo. Accanto ai racconti, infatti, che sono ambientati in epoca medievale o in età umanistico-rinascimentale, e che non solo restituiscono vita alla quotidianità domestica di alcuni artisti, ma colgono ed esprimono anche il senso del loro dedicarsi anima e corpo alla pittura, ce ne sono altri ambientati in anni recenti o, comunque, molto più vicini a noi. Per averne conferma è sufficiente passare in rassegna alcuni degli incipit dei singoli testi: “Scese dal treno regionale dopo un’ora e mezza dacché era partita da Firenze, Elena Foresti, ingarbugliata tra i manici delle borse e la maniglia della valigia a rotelle”,  “Quel pomeriggio del 1977 la neve aveva ricoperto Siena col suo mantello freddo e puro”, “Era l’ottobre del 2000, un ottobre mite nella grossa città settentrionale dal cielo oppressivamente stinto”. 

Ora, anche in questi racconti, nonostante la distanza temporale che li separa dal fiorire dei grandi maestri dell’arte senese, il rilievo accordato a questi ultimi nell’economia della vicenda narrata resta assoluto. Estremamente istruttiva, in tal senso, appare la maniera con la quale suddetti Auctores irrompono sulla scena e, ancora di più, lo è la porzione del racconto che viene loro accordata, che appare sempre significativa anche per estensione. Ad esempio, in “Palla di neve”, tre ragazzi, sospesa momentaneamente la loro battaglia con le palle di neve, entrano nella Cappella Cinughi, dove restano incantati alla vista della “Madonna delle Nevi”, la grande tavola dipinta da Matteo di Giovanni e datata 1477. 

Invece, in “Il transito”, lo sguardo di una malata dell’Ospedale di Santa Maria della Scala si appunta sull’affresco dipinto da Lorenzo di Pietro, conosciuto come il Vecchietta. Questa feconda dialettica tra passato e presente, tra i fatti e la memoria dei fatti, tra la creazione artistica e la fruizione dell’opera, non appare mai come qualcosa calato dall’alto, e dunque estrinseco, artificioso, forzato. Al contrario, si sostanzia della “facies” stessa di Siena, ovvero di una città nella quale la bellezza non è accolta solamente all’interno di un palazzo chiamato museo o di una collezione privata, ma fa parte dell’esperienza quotidiana dell’uomo comune. È questa la ragione, a mio avviso, per la quale “I figli del mattino” costituisce in primo luogo uno splendido gesto d’amore di Andrea Laiolo nei confronti della città di Siena, dove l’arte, per usare un’espressione cara a Luigi Zoja, continua ad “abitare in piazza”. Quella che segue è la Premessa, a firma dello stesso Andrea Laiolo. 

   

“La pittura Senese, fin dai tempi di Duccio e per tre secoli, non ha mai tradito le proprie visioni. I Suoi maestri, fedeli all’appercezione del mondo sovrasensibile còlto attraverso la raffigurazione del reale, non hanno voluto aggiornarsi sull’esempio della nuova pittura a tre dimensioni, ma aggiornare, riaffermandola, la loro tradizione con l’usufruire dei nuovi mezzi presenti al di fuori di essa. In loro lo spazio non ha mai soppiantato la linea, la realtà visibile non ha mai sostituito la verità intuibile, e l’osservazione non è mai sottentrata alla visione. Siena è stata un misterioso crocevia, se non geografico almeno dei percorsi sotterranei battuti dal senso della cultura figurativa europea. Nonostante la conoscenza diretta dell’arte tedesca avuta da Enea Silvio Piccolomini e la presenza in città, verso la metà del Quattrocento, di maestri arazzieri fiamminghi che testimoniavano l’arte nordica, questa fu assorbita quasi telepaticamente dagli artisti senesi, sempre aurorali, quand’anche riproponessero stilemi collaudati e inveterati. Così comparivano quei modi quasi tedeschi che talora si innervavano nell’opera dei quattrocentisti. Questi isolati maestri, pur attardandosi, permangono freschi e sorgivi in ogni nuova opera, come figli di un perenne mattino”.

Andrea Laiolo, I figli del mattino, Re[a]daction, Roma 2022

a cura di Francesco Ricci