Fiction & Libri

Antonio Cristiano-Stefano Luti, Una goccia d’amore oltre la morte

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la prefazione scritta da Francesco Ricci

La realtà di una danza, di un incontro, di una telefonata notturna, di un viaggio, di una malattia, di una cremazione. La puntuale descrizione di una città, di un interno di abitazione, di una distesa d’acqua. È una geografia familiare, è una geografia ben riconoscibile quella che accoglie la storia di Alison e Davide: Torino, Southampton, Newquay in Cornovaglia, un locale notturno di Montecatini, la corsia di un ospedale, una camera d’albergo. Eppure, questa familiarità, questa riconoscibilità nel segno di ciò che saldamente e indubitabilmente è – la materica e pesante realtà delle cose e dell’esistere – lascia a tratti entrare, come una porta socchiusa, frammenti e voci di un mondo che si colloca al di là del riconoscibile e del familiare, quali possono essere, ad esempio, un sogno, una visione, un comando deciso, una sciabolata di luce. Qualcosa che la mente non conosce e che la ragione né ammette né spiega, istanti epifanici e spaesanti, che vengono mostrati al lettore con la stessa cura e verosimiglianza che solitamente è riservata al mondo fenomenico. E dinanzi all’irrompere dello sconosciuto, il protagonista-narratore (Davide) è ora colto dalla paura e dalla sorpresa (“inebetito e stravolto dalla visione”, cap. X) ora avvolto da una sensazione di dolcezza e quiete (“pace e serenità infinite”, cap. XII). 

Una goccia d’amore oltre la morte è un libro che nasce al confine tra questi due mondi, tra questi due ordini, o, meglio, in quella porzione di terra che si stende tra la vita e il l’oltrevita, senza essere più l’una e senza essere ancora l’altra. Ed è proprio l’adozione di tale postazione-posizione liminare che, pur non annullando la separazione tra il regno dei vivi e il regno dei morti – l’aldiquà e l’aldilà –, ne rivela l’autentica natura, che non è assimilabile a quella suggerita dall’immagine di una porta serrata, di un muro, di una paratia, ma a quella del semplice rovesciarsi di un guanto. Il transito in entrambe le direzioni, infatti, è sempre possibile, dal momento che la morte non è pensata dall’autore come una semplice uscita (come è avvenuto in tanta letteratura del secolo scorso), come un affacciarsi sul nulla e sul vuoto, come, ha scritto Vladimir Jankélévitch, un “passaggio da qualcosa a niente del tutto”; piuttosto, essa è vista come l’accesso a un’altra fase dell’esistenza: anche l’oltrevita possiede i suoi luoghi, i suoi ritmi, i suoi abitanti, con le loro gioie e i loro tormenti. 

Appare chiaro, allora, che per Stefano Luti realtà è parola che possiede una ricchezza e una ampiezza di significato che la parola realismo, invece, non ha. Essa, infatti, designa l’unione del visibile e dell’invisibile, dell’udibile e dell’inaudito, del noto e dello sconosciuto, del naturale e del sovrannaturale. Di conseguenza, al pari di Antonio Moresco, anche Luti può affermare che “la realtà non è realistica”, se per realtà ci limitiamo a indicare denotativamente ciò che è reale, concreto, materiale. Una goccia d’amore oltre la morte non è, dunque, semplicemente un romanzo misto di prosa e di versi (un prosimetro), che poeticamente indaga la profondità di sentimenti quali l’amore, l’amicizia, la compassione, i soli a rendere pienamente vivibile l’esistenza dell’uomo. La sua lettura, piuttosto, si traduce in una vera e propria esperienza conoscitiva, la quale mostra che la rimozione della morte e la cancellazione – a partire, grosso modo, dall’Illuminismo – dell’aldilà hanno reso monco ogni discorso sulla verità, che è stato costretto a dibattersi, spesso girando a vuoto, entro i confini del mondo fenomenico, reputato il solo meritevole della qualifica di “vero”. Ma verità è parola che può essere pronunciata soltanto da chi ha ancora il coraggio di sporgersi sul bordo della morte, di tenere lo sguardo fisso su ciò che vi è oltre e che vi è dopo, di riconoscere voci, volti, profili, moniti là dove i più credono esserci il nulla e quello che Vittorio Sereni in una sua poesia chiama “il colore del vuoto”.  

Antonio Cristiano-Stefano Luti, Una goccia d’amore oltre la morte, extempora, Siena 2022

Francesco Laezza

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