Le fotografie di Augusto Mattioli, ora raccolte nel primo e nel secondo numero delle “Augustorie”, sono bellissime. Lo sono in sé. Lo sono perché ci ricordano, con un’evidenza che non ammette confutazioni, che certi scatti ci conducono, al pari di una pagina, di un dipinto, di un preludio musicale, dentro i territori dell’arte. Ma le fotografie di Augusto possiedono un significato, per noi che viviamo all’ombra della torre del Mangia, che trascende l’ambito meramente estetico.
Non a caso, una volta che abbiamo finito di sfogliare le ottantadue pagine che formano il secondo numero del periodico (esce ogni due settimane e il coordinamento editoriale è curato da Carlo Covati, Paolo Corbini e Cristiana Mastacchi), il sentimento dominante in noi non è quello dell’ammirazione, non è quello del piacere, ma è quello di una dolce malinconia. Da un lato, infatti, c’è la dolcezza del rinvenire volti, ambienti, abitudini, il cui ricordo si era perso insieme all’inesorabile trascorrere degli anni. Dall’altro, c’è la malinconia generata dal sapere che qualcosa è andato perduto, è andato perduto per sempre, e che “ciò che muta, anche / per farsi migliore” (Pasolini) non è immune dal pianto e dalla sofferenza.
In particolar modo, scorrendo le fotografie e leggendo le didascalie dello stesso Augusto (alle quali si aggiungono, in questo numero, testi di Natili, Covati, Corbini, Brogi, Bartalucci, Mariotti), a essere rimpianto è il modo di stare insieme, di relazionarsi, di incontrarsi e di scontrarsi, il quale, nonostante la durezza di certi frangenti (il Palio, le partite allo stadio della Robur), non conosceva quella profonda solitudine – a tratti isolamento – che, invece, ormai accompagna anche i giorni di vita di non pochi figli e figlie di Siena. I due bravi passi che seguono sono le didascalie che accompagnano, rispettivamente, la fotografia di una disposizione del Comune relativa alla tratta dei cavalli (disposizione del 26 giugno 1978) e la fotografia dei festeggiamenti dei giocatori negli spogliatoi per la promozione del Siena in serie C nel 1990.
“La mattina della tratta dei cavalli era un’occasione ghiotta per curiosare attorno all’entrone, capire il vento che tirava tra gli addetti ai lavori e catturare immagini interessanti dell’ambiente e delle persone. Allora si potevano scattare fotografie senza che nessuno ti venisse a dire, come accade purtroppo oggi, di stare da una parte”.
“Dopo la promozione del 1990 era ovviamente d’obbligo documentare la gioia di un successo per cui non c’erano difficoltà a scendere negli spogliatoi, magari correndo anche il rischio di essere coinvolti in una doccia fuori programma”.
A cura di Francesco Ricci