Forse ha ragione Massimo Recalcati, il padre è evaporato, insieme allo storicismo teleologico, alle grandi “narrazioni”, agli oratori e alle scuole di partito. Forse anche insieme a un modo di vivere in cui le distanze, rispetto a oggigiorno, richiedevano più tempo per venire percorse, la risposta alla domanda non era mai immediata (come avviene, invece, con le applicazioni mobili), la relazione umana non era stata ancora confusa con la comunicazione attraverso i social né da questa relegata ai margini dell’esistenza.
In ogni caso, a me pare che identico sia rimasto l’amore che i figli provano per la figura paterna e ai miei occhi l’immagine di una madre che tiene per mano un bambino è superata, in bellezza e in poesia, solamente da quella di un uomo maturo che si prende cura del suo genitore, lo sostiene lungo i corridoi di un nosocomio, lo accompagna, assecondando il ritmo lento dei suoi passi, per le strade di un rione che per l’anziano del mondo intero è ormai misura e confine. Questo perdurare dell’amore filiale, questo restare, cioè, uguale a se stesso – nella cura, nell’intensità, nell’esclusività – attraverso il continuo avvicendarsi di modelli sociali e culturali, spiega meglio e più di qualunque altro tipo di considerazione l’attualità della poesia che Camillo Sbarbaro (1888-1967) dedicò a suo padre, Carlo (di lui resta, insieme alle fotografie, un ritratto opera del pittore Carlo Tomba), includendola poi nella bellissima raccolta di versi intitolata “Pianissimo”.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla mia finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.
E di quell’altra volta mi ricordo
che la sorella mia piccola ancora
per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l’attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l’avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo ch’era il tu di prima.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t’amerei.
a cura di Francesco Ricci