Cesare Brandi, Pellegrino di Puglia

Certi amori tardivi possiedono una costanza e un’intensità di sentimento che restano precluse agli amori lunghi una vita intera. Ciò è vero per le persone, per le opere d’arte, per gli ambienti. E ciò vale anche per i luoghi, come testimonia il libro di Cesare Brandi “Pellegrino di Puglia”. Pubblicato la prima volta, per i tipi di Laterza, nel 1960, con un corredo di 78 fotografie, riedito una seconda volta nel 1977, con un corredo di 121 fotografie, e una terza volta nel 1979, con 14 disegni dell’amico Renato Guttuso che prendono il posto del materiale fotografico, “Pellegrino di Puglia” racconta l’incontro (che fu subito amore) con la Puglia da parte del fondatore e direttore dell’Istituto centrale del restauro, incontro che ebbe luogo quando già la giovinezza era per lui alla spalle. Un libro, molto bello anche dal punto di vista dello stile, che costituisce idealmente il terzo capitolo di quella letteratura odeporica, carissima a Brandi come a tanti altri illustri nomi del Novecento italiano, iniziata nel 1954 con “Viaggio nella Grecia antica” e proseguita, quattro anni dopo, con “Città del deserto”. 

 

 

“Pellegrino di Puglia”, a precisarlo è lo stesso autore, non intende essere né la guida né la storia della regione meridionale richiamata nel titolo. Piuttosto, intende collocarsi nel solco di quella tradizione, iniziata dal poeta latino Orazio e che giunge, attraverso il Galateo (seconda metà del Quattrocento) e Henry Swinburne, che dal 1777 al 1780 fece diversi viaggi nel Regno delle Due Sicilie, fino a Paul Schubring ed Emile Bertaux. In quest’ottica, il titolo, se da un lato rimanda indubbiamente alle antiche tradizioni religiose della Puglia, sede di numerosi luoghi di culto, come Monte Sant’Angelo, dall’altro contiene anche un riferimento al pellegrinaggio – individuale e laico – dello stesso Brandi. E mentre sfilano sotto i suoi occhi frammenti di Trani, Martina Franca, Alberobello, Lecce, Gravina, Altamura, Melfi, Foggia, il lettore vede confermato una volta di più il nesso che lega, e che deve legare, l’estetica all’etica, quando si parla di natura, quando si parla di civiltà. Lo stupore e l’emozione che ci afferra di fronte alla bellezza, infatti, si tratti della bellezza paesaggistica o artistica, comporta un’assunzione di responsabilità di tipo morale: ciascuno di noi deve fare tutto ciò che è in suo potere per difendere e preservare tanta bellezza, così che a goderne possano essere anche le generazioni fortune. Il passo che segue è tratto dal capitolo “La festa di San Nicola”, appartenente alla prima delle cinque sezioni che compongono il libro.    

“Questo viaggio in Puglia non è un viaggio, ma tanti viaggi. Eppure, è un solo viaggio, per l’amore che io porto a una terra, che non mi ha visto nascere, che non mi ha visto fanciullo e neppure fu teatro di un primo amore. Come la scorsi dall’aereo, non mi entusiasmò. Abitavo allora in Egeo e facevo spesso il volo fra Roma e Atene. Dall’alto, la Puglia è ancora più geografica della solita mappa a cui si riducono i vantati e insipidi panorami dall’aereo. Così piatta com’è, con quelle strade diritte e i grossi borghi bianchi, fitti quanto un gregge di pecore nello stazzo, non fa venire il desiderio di percorrerne le strade, di entrare in quei borghi, di trovarsi a raso terra in tanta pianura, e così uguale. C’erano i monumenti, e quelli bisognava conoscerli, ma, oltre ai monumenti, non vedevo, non sentivo altra ragione di andare in Puglia. Poi dovetti recarmi in Albania e, tornando di là, apersi gli occhi una mattina a Bari dove infieriva un’afa africana, e non pensai che a ripartirne. Avvenne dopo molto tempo che dovessi visitare Otranto: la Puglia bisognava infilarla tutta, per arrivare sin là. E allora cominciò la scoperta. Né si arrestò a questo primo viaggio, né al secondo, né al terzo: la scoperta non finirà mai, perché è un paese, la Puglia, come il mattino, un mattino limpido, un mattino di sole liquido: e il mattino, sarà sempre lo stesso, ma non viene mai a noia”.

Cesare Brandi, Pellegrino di Puglia, Bompiani, Milano 2018

a cura di Francesco Ricci