C’è tantissima vita nel libro di Chiara Bennati, intitolato “Akhet”. C’è tantissima vita nei tredici racconti che lo compongono. Di più, essi straripano di vita, di esistenze, di destini che ci vengono incontro sulla pagina con discrezione, con umiltà. Stefano, Renata, Roberto, Alessio e Valerio, Martina e Assunta, Simone, Valentino e Valentina, sono soltanto alcuni dei protagonisti di queste storie – tutte in forma di intervista – che testimoniano che è ancora possibile, nel terzo millennio, condurre una vita autentica, avere un’esistenza autentica. L’autenticità è una forma di fedeltà a se stessi, è una compiuta realizzazione “dell’esser-sempre-mio”. L’aggettivo tedesco “eigentlich”, l’inglese “authentic”, il francese “authentique”, l’italiano “autentico” rimandano tutti alla stessa radice, che esprime l’idea del “proprio”, del “se stesso”. Dunque, ha una vita autentica solamente chi sceglie autonomamente il tipo di esistenza che intende condurre, sottraendosi alle pressioni e ai condizionamenti degli altri. È il grande tema di uno dei vertici della produzione di Tolstoj, vale a dire “La morte di Ivan Il’ič”, il breve romanzo sul quale si soffermerà anche Martin Heidegger in “Essere e tempo”. Per operare la scelta decisiva di un’intera esistenza e di un destino individuale, occorre porsi in ascolto, come fanno i protagonisti dei tredici racconti di Chiara Bennati. Ma in ascolto di cosa? Della voce interiore, che prima o poi parla a ciascuno di noi. È il “daimon” della linea Socrate- Jung- Hillman, è la “vocazione” di cui parlano i cristiani, è, in sostanza, ciò per cui si è nati.

Solamente tale voce ci consente l’individuazione del nostro compito fondamentale – professione, passione, ruolo –, quello capace di schiudere un orizzonte di senso all’interno di un mondo il cui significato pare sempre più latitare. Naturalmente, e i protagonisti dei racconti di “Akhet” lo sanno bene, cercare di realizzare suddetto compito, e dunque prestare ascolto alla voce interiore, alla chiamata, all’imperativo, al “daimon”, non è garanzia di felicità. Di sicuro, però, ci mette al riparo dall’infelicità, se è vero che questa è generata, in larga misura, dall’assunzione di un tipo di vita che, al pari di un abito preso in prestito, non sentiamo nostro, non ci appartiene: il “Così fan tutte (tutti)” non dovrebbe mai superare, come possibile giustificazione o constatazione, l’ambito strettamente musicale. Il brano che segue è tratto dalla Premessa, nella quale la scrittrice chiarisce bene la genesi del libro. La prefazione, invece, è a firma di Duccio Rugani.

“Eravamo appena usciti dall’incubo del Covid. Eravamo sopravvissuti a due anni terribili, a due anni in cui tutte le nostre certezze erano state minate, in cui avevamo perso il piacere del mondo, della condivisione, in cui eravamo diventati tutti possibili nemici l’uno dell’altro. Ci era stato tolto tutto. Ci erano rimasti solo paura, terrore, morte, dolore. Il mondo era diventato grigio, silenzioso. Tutti noi prigionieri delle nostre case, Eppure, per certi versi, quei due anni sono come stati un incubatore di coscienza per me. Passato il primo momento di sconcerto e di destabilizzazione, ho iniziato a cullarmi nel pensiero che questo non poteva essere l’unico mondo possibile, che doveva poterci essere altro, che io, come tutti noi, avevo il diritto ma anche il dovere di coltivarla questa ulteriore possibilità, di innaffiarla lentamente, con cura, come si fa con dei semi appena piantati. Ogni giorno. E piano piano, facendolo, ho iniziato anche ad immaginare come sarebbero potute diventare le piante in cui si sarebbero trasformati questi semi, costruendomi di esse delle immagini sempre più nitide e ricche di particolari. Ed uno di questi semi è diventato l’idea della rubrica “Mondo Parallelo” sul giornale online SienaPost per la quale ho realizzato le interviste che ora hanno preso la forma di questo libro. Mondo Parallelo. Un concetto che mi cullava nei giorni di prigionia in casa nel periodo della pandemia. Con gli altri inquilini del mio palazzo ci eravamo suddivisi i tempi per poter godere a turno dell’aria della terrazza condominiale. E nei momenti in cui da lassù, sopra i tetti della mia città, mi perdevo a guardare la campagna all’orizzonte seguivo il volo delle rondini nel cielo terso, pian piano il Mondo parallelo si insinuava nella mia mente, distendendo i miei pensieri, un po’ come un’iniezione di antidolorifico che lentamente attenuava i miei dolori”.

Chiara Bennati, Akhet, SBS Edizioni, Roma 2024

a cura di Francesco Ricci

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Francesco Laezza

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