Fiction & Libri

Daniela Carmosino, La sagoma (favola crudele)

Sagoma è parola evocatrice. La senti pronunciare e pensi subito a una mano, pensi a una risata larga e convinta. La mano che disegna una figura di carta, la ritaglia, la posa sopra un cartoncino bristol, sopra un tessuto, sopra un foglio di compensato, facendola diventare, così, un modello. La risata suscitata da chi, all’interno di una famiglia o di una comitiva di amici, appare buffo, sicuramente è benvoluto, perché sa accelerare il corso di ore stanche, di ore che sembrano non trascorrere mai. Poi, però, sfogli il libro di Daniela Carmosino “La sagoma (favola crudele)”, lo leggi, una volta, una seconda volta. E allora ti rendi conto che queste osservazioni sono vere solamente in parte e che il divario tra le parole e le cose – l’autentico motivo di fondo della cultura europea tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento – è enorme. La mano che disegna è ora una bocca che parla, organizza, comanda, mentre la risata non rimanda più all’allegra simpatia di un volto, bensì alla smorfia – un po’ ghigno un po’ disincanto – di chi tocca con mano che nessuno è padrone della propria vita, nella propria vita.

L’insufficienza del linguaggio, il lato oscuro dell’esistenza. Dove credevi di trovare un tratto, un segno, un contorno, rinvieni una parola detta, alata, perentoria; dove ti aspettavi l’inchino di un clown o di un fanciullo felice, ti viene incontro l’ombra di una vita rubata, perché eterodiretta, perché costretta, non accompagnata, nella direzione del suo sviluppo. La storia di Celeste, la protagonista de “La sagoma”, non è soltanto la storia di un’esistenza mancata. Mancata, in fondo, lo è ogni esistenza, come osservò Umberto Saba in una lettera spedita a Elsa Morante il 30 giugno 1953. Perché quella di Celeste (o della zia Elsa) non dovrebbe esserlo? No, Daniela Carmosino non si accontenta di offrire al lettore uno spaccato di vita borghese, dominato dall’ipocrisia, dalla convenienza e dalle convenzioni, dalle regole, le quali, inevitabilmente, finiscono con l’impedire all’individuo la piena e consapevole realizzazione di sé.

Piuttosto, a mio avviso, intende mostrare gli effetti che le parole di un adulto (“Le parole che ognuno ti semina dentro, quelle però, non puoi non sentirle cadere. Sanno di pioggia e fanno lo stesso rumore”) producono quando vengono calate dall’alto – l’autorità cortese, che persegue il proprio interesse fingendo di avere a cuore quello dell’altro – in un contesto fondamentalmente anaffettivo. Anaffettivi, infatti, lo sono, chi più chi meno, tutti i personaggi di questo straordinario libro di Daniela Carmosino, a partire dalla madre e dal padre (fisicamente e simbolicamente assente) di Celeste per finire alla zia Elsa: la stessa anoressia di Bea (la sorella di Celeste) e la dipendenza dall’alcol di Angelo (il fratello di Celeste), che sono in sommo grado due “malattie della relazione”, va in questa direzione, offrendo un’ulteriore conferma che dove l’educazione affettivo-sentimentale manca, là la vita non sboccia, il deserto avanza, il desiderio si spegne. Il passo che segue è tratto dalla prima delle ventinove “scene” in cui si articola il libro, impreziosito anche dai disegni della stessa autrice, dall’introduzione di Marcello Carlino e dalla postfazione di Enrico Iraso. 

                 

“Ecco Celeste.

Una piccola sagoma scura, di spalle

contro il sole sbiadito in cucina.

Vista di spalle

ti immagino triste,

ma poi mi correggo, è una mia proiezione.

Visti di spalle,

abbiamo tutti qualcosa di fragile,

sembriamo più esposti agli attacchi improvvisi.

O agli inganni.

Sento, invece, che hai gli occhi appoggiati sul vetro

e che non guardi niente.

Hai a malapena due anni e comincia a far freddo.

Ti hanno fatto indossare una gonna blu notte solcata

da righe gialline.

Seduta da sola in poltrona aspetti

seguendo col dito le righe che scendono

giù parallele

uguali e distanti.

E non si incontrano mai.

Stanno arrivando gli zii, li ha invitati la mamma.

Fra poco la casa sarà una foresta di gambe.

E di braccia, che almeno ti tirano su”.

 

Daniela Carmosino, La sagoma (favola crudele), RPlibri, San Giorgio del Sannio 2020

a cura di Francesco Ricci

Francesco Laezza

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