“Errando”, l’ultimo romanzo di David Berti, è un libro bellissimo. E come sempre accade quando ci troviamo al cospetto della vera bellezza, essa si rivela a noi poco alla volta. Niente più della fretta, infatti, le è estranea. Bella è la foto di copertina di Giuseppe Guerrini, che ritrae un orizzonte spaziale che suggerisce anche un orizzonte di senso. Bello è il titolo, complice l’impiego del gerundio del verbo “errare” (ricco di per sé, a livello semantico, di storia e di tradizione), che, in quanto modo indefinito – e dunque svincolato da una persona determinata, singolare o plurale che sia –, possiede un respiro universale. Bella è la prefazione di Enrico Bistazzoni, che coglie e chiarisce bene al lettore la natura aperta e problematica di “Errando”, dove la scena iniziale del treno (“Aveva ancora l’odore acre della frenata del treno nelle narici”) e quella conclusiva della stazione (“Ora anche l’altro treno era lì, dall’altra parte del marciapiede”) incorniciano una storia il cui esito ultimo si pone al di là e al di fuori della pagina scritta.
Bello, infine, è il romanzo, sia per quello che racconta, sia per come lo racconta. Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, l’autore alterna parti narrative di grande nitore e scorrevolezza a parti dialogate nelle quali lo stile verbale dei personaggi appare sempre coerente con il loro profilo sociale, culturale, generazionale. Per quanto riguarda, invece, il contenuto del libro, “Errando” deve essere considerato fondamentalmente, a mio avviso, un romanzo della luce (Moravia avrebbe parlato probabilmente di romanzo esistenzialista). In che senso romanzo della luce? Se nascere è pensabile come un venire alla luce e il venire alla luce comporta necessariamente sia l’entrare nell’aperto (il dispiegarsi del possibile) sia l’essere collocati in una rete di relazioni (a partire da quella parentale), la crescita di una persona, lo strutturarsi della sua identità, l’individuazione del proprio “daimon” interiore, sono assimilabili a un permanere nella luce, che certo non esclude il buio, l’inciampo, lo strappo crudele.
L’esistenza, in sostanza, proprio perché ha costantemente a che fare con l’aperto e con la relazione, rinviene nella novità e nell’incontro due dei suoi elementi costitutivi, che se anche finiscono spesso col creare un campo di tensione per l’individuo, consentono a quest’ultimo, però, anche di maturare. Ora, questo tema è affrontato da David Berti facendolo scendere dalle ostiche altezze della riflessione filosofica che da Agostino conduce a Heidegger e Sartre, e riconducendolo al nostro concreto e feriale “exsistere”, dove ogni moderno “homo viator” che Angelo, il protagonista di “Errando”, incontra, nel suo percorso Dal Colle del Gran Sasso a Roma, possiede un volto, un corpo, un vissuto e una storia da raccontare o da ispirare. Il passo che segue costituisce l’incipit del romanzo.
“Aveva ancora l’odore acre della frenata del treno nelle narici, quando riuscì a trovare uno scompartimento vuoto. Si chiuse dentro e tirò le tendine, nella speranza che nessuno entrasse. Si mise a sedere accanto al finestrino. Attraverso il vetro vide gli ultimi passeggeri affrettarsi a salire, trainando i loro trolley sul marciapiede. Cosa stava facendo? Era un pazzo. Il giorno dopo si sarebbe dovuto presentare al lavoro dopo due mesi di aspettativa non pagata. Lo avrebbero licenziato. Maledizione! Perché si era messo in quella situazione? Cercò di respirare profondamente. Qualcuno bussò al vetro e aprì. ‘Sono liberi i posti?’. Alcuni attimi di silenzio, scanditi da un graffiante fastidio, non bastarono a fargli trovare la forza di rispondere che erano occupati. ‘Certo, venga, le sposto lo zaino’. L’uomo si accomodò, tirando fuori da una piccola borsa una penna e una settimana enigmistica. Lui girò la testa dall’altra parte. Quanto ci metteva quel dannato treno a partire? Cominciò a sentire un ronzio nelle orecchie, probabilmente provocato dalla pungente tensione che avvertiva alla nuca. Finalmente il rumore della chiusura delle porte, il fischio del capotreno. Con una leggera scossa, il convoglio si mise in movimento”
a cura di Francesco Ricci