È ormai trascorso più di un secolo dalla pubblicazione in lingua originale di “Siena and Southern Tuscany” dello scrittore Edward Hutton (1875-1969). La traduzione italiana di Simonetta Neri – per la precisione quella del sesto capitolo dell’opera, dedicato alla città del Palio – approntata nel 2006 per Pacini Editore, arricchita dall’introduzione di Attilio Brilli e dalla riproduzione degli acquerelli di Orlando Frank Montagu Ward presenti già nell’edizione inglese del 1910, ha contribuito non poco a farne ormai un classico della Letteratura di viaggio, come attestano le numerose ristampe che si sono succedute nel corso degli anni del libro.
La storia della Repubblica di Siena, Piazza del Campo e Palazzo Pubblico, il Duomo, il Terzo di Città, il Terzo di San Martino, il Terzo di Camollia, la scuola di pittura senese e la galleria d’arte: sono questi i punti salienti di un testo che intende essere in primo luogo una guida urbana per un viaggiatore-lettore britannico colto, che conosce l’arte di indugiare tanto al cospetto di un monumento quanto davanti a una pagina che intreccia eventi storici ed eventi artistici. E che questa sia l’intenzione dell’autore, lo conferma anche il tono colloquiale, a tratti complice, di cui si serva Hutton nel rivolgersi al suo muto interlocutore: “Cercate di giungere in un qualsiasi mattino d’estate provenienti da Firenze”, “Continuando nel vostro percorso, si gira quasi all’improvviso a destra, in via Tommaso Pendola”, “Da qui seguiamo via dei Pispini fino alla chiesa di Santo Spirito”.
Sbaglieremmo, tuttavia, a considerare “Viaggio a Siena” come l’espressione personale e realistica di ciò che Hutton ha veduto, udito, colto. Infatti, nonostante la tendenza a esibire già a partire dalla pagina iniziale la centralità dell’io nella narrazione (“Credo che non ci sia nulla al mondo…”, “È così che sempre mi appare”, “è così che sempre la ricordo”), a definire la fisionomia della città e del paesaggio circostante la tradizione letteraria, che ne ha parlato, e la tradizione pittorica, che li ha raffigurati, paiono contare di più dell’esperienza fatta concretamente dal viaggiatore Hutton, che giunse per la prima volta in Italia all’età di ventuno anni. A tal punto significativi risultano le somiglianze tra certe descrizioni fatte dallo scrittore inglese e certi sfondi dei grandi trecentisti e quattrocentisti. Il passo che segue, tratto dal capitolo iniziale, già pare andare incontro alle aspettative del pubblico d’oltremanica, che altro non si attende da “Viaggio a Siena” che di essere condotto lontano dalla contemporaneità, caotica, industriale, in perenne divenire.
“Credo che non ci sia nulla al mondo che assomigli a Siena, nessun altro luogo, comunque, che abbia la sua penetrante bellezza, la sua inconfondibile gioia, la sua passione, il puro incanto. È vero che a Firenze si trova una limpida, intellettuale bellezza, virile e luminosa; che ad Assisi, piccola ultraterrena città umbra, un misterioso incanto – è la bellezza della santità? – si manifesta nel ricordo di un amore, toccante e ancora vagamente immortale, che affiora alla mente con la fragranza di un fiore selvatico di quell’aspra località montana; ma a Siena c’è qualcosa di più, qualcosa di più strano se non di meno umano, e – come dire? – tale da compensare il cuore di tutto quello che possa desiderare: una posizione superba e nobile, un aspetto splendido eppure etereo, una storia valorosa, audace e sfortunata, un popolo che vive ancora incorrotto dagli stranieri. Sì, posta così saldamente sulla sua triplice collina, Siena si leva ancora con un gesto di gioia, raggiante e bella, assediata tutto intorno dalle vigne, come da una cornice di verde, orlata da toni argentei e dorati: l’argento degli ulivi misto all’oro del grano”
Edward Hutton, Viaggio a Siena, Pacini, Ospedaletto 2006
a cura di Francesco Ricci