Elena Brandi Castellani, Palio amaro

A prima vista, al centro del romanzo di Elena Brandi Castellani c’è Siena, ci sono le terre di Siena. Già il titolo, infatti, “Palio amaro”, specie dopo il grandissimo successo ottenuto da Duccio Balestracci col suo libro sulla Festa, richiama alla mente non uno dei tanti palii che si corrono nel Bel Paese, bensì quello che è oramai percepito essere il palio per antonomasia, vale a dire il palio della nostra amata città. Il protagonista maschile, poi, Andrea Brandani, detto lo Sparviero, è un fantino, che si allena col suo cavallo in vista della corsa del 2 luglio di un anno imprecisato. La vicenda, inoltre, per buona parte del romanzo, si svolge tra Monteriggioni e Siena, tra casali, osterie, vicoli, piazze, che disegnano uno spazio familiare a ogni lettore: “Attraversarono il rione della Contrada della Civetta, poi giunsero in Piazza del Campo. In quel momento, in quell’ora smarrita, la Piazza era deserta”.

Eppure, il tema centrale di “Palio amaro” è, a mio avviso, un altro: il desiderio, il desiderio erotico. Una conferma, in tal senso, ci è fornita dal fatto che le pagine conclusive del romanzo si svolgono a Lecce, senza che ciò determini alcun mutamento nel legame che unisce Andrea e Maddalena e, soprattutto, nella maniera di vivere tale legame. Alla base di quest’ultimo vi è sempre per entrambi, infatti, l’esperienza del venire oltrepassati, del venire spossessati, del venire decentrati dal desiderio.

A partire dal loro primo incontro, quando Andrea ha quarantasei anni e Maddalena ventisette, e fino all’epilogo della vicenda, scandita da congedi, silenzi, incomprensioni, riavvicinamenti, confessioni, la passione che urla ed esige che i corpi si avvicinino, si tocchino, si fondano, unisce e fiacca le esistenze dei due protagonisti, senza che la scrittrice celi il trasporto e l’intensità degli amplessi. È, questo, un aspetto che trovo estremamente interessante. Lontana da ogni manzoniana reticenza, Elena Brandi Castellani non rinuncia a mostrare secondo verità la natura anarchica della volontà di godimento, che di nient’altro tiene conto se non della sua realizzazione, ma la bilancia – non la circoscrive – attraverso un uso sapiente della scrittura, che in certi momenti viene a possedere un registro lirico, come in questo breve passo che segue una scena d’amore: “Lei lo lasciò farsi corona dell’assenza per tutti i giorni a venire, la notte era ancora abbondante e continuava ad asciugare ogni incombenza cancellando tutte le pareti stagne del reale”. Quella che segue costituisce la pagina iniziale del romanzo:

“Sembrava uscito da un incantesimo quel cavaliere sul suo cavallo che si apprestava a scendere lentamente dal pendio. L’aria era tiepida e sapeva di fiori, il vento era cessato d’improvviso e nel silenzio calato tra le pietre sparse, tra gli ulivi immobili e i fitti cipressi, si rivelò la magia di un incontro. Quando la vide, china a raccogliere gli iris selvatici che avevano invaso tutti gli spazi intorno alla strada serrata, arrestò subito il suo cavallo all’ombra del pino selvatico. “Finalmente la vedo”, disse alla voce donna con voce decisa, notando che era più bella di quel che pensasse. Lei si spaventò al punto d’inciampare all’indietro per paura che il cavallo la travolgesse, alzò lo sguardo e si schermò gli occhi con la mano per proteggerli dal sole che in quel momento era diventato di fuoco e tingeva il cielo di migliaia di sfumature gialle e aranciate, mentre si preparava a scendere oltre le colline scure. Non comprendendo bene quelle parole lei rispose: “Come?” “Sì, precisò lui, è da tempo che siete venuti ad abitare qui ma lei non l’avevo ancora veduta”. “Guardi lassù”, continuò, “io abito là”, indicando un casale fatiscente su un’altura poco più in alto, che si scorgeva appena tra i fitti alberi”.

 

Elena Brandi Castellani, Palio amaro, extempora, Siena 2019

 

a cura Francesco Ricci