Il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han nel suo ultimo saggio, intitolato “Vita contemplativa o dell’inazione”, celebra la bellezza rivoluzionaria di ciò che è improduttivo, di “ciò che divaga”, delle belle forme e dei bei gesti che “a nulla servono” e che “non adempiono ad alcuna finalità”. Ma rivoluzionaria rispetto a che cosa? Alla nostra società della fretta, dell’utile, della prestazione, del consumo esasperato ed esasperante. Perché dove tutto pare meritevole d’interesse e d’attenzione solamente se risulta razionale rispetto a uno scopo (pratico), lo sguardo che lento indugia sulla realtà naturale e artistica, senza secondi fini al di fuori del piacere della contemplazione, si configura a tutti gli effetti come un atto di eversione.
Rivoluzionario, appunto. Il bellissimo libro edito da Betti e prefato da Tomaso Montanari, “M’ama non m’ama”, credo che si possa – forse, perfino, si debba – leggere in questa prospettiva. Al suo interno, infatti, sono raccolte le lettere che alcuni visitatori dei musei delle terre di Siena hanno inviato a un’opera, un oggetto, un allestimento ospitato nei loro spazi, si tratti del Museo Archeologico e d’Arte Sacra ad Asciano o della Collegiata a Casole d’Elsa, del Museo Civico Archeologico delle Acque a Chianciano o del Museo San Pietro a Colle di Val d’Elsa, e di molti altri ancora. Sono lettere che nascono da una relazione di sguardi e di sentimenti tra l’opera d’arte e il visitatore. Entrambi i termini di questa relazione – e non unicamente il secondo, come si sarebbe indotti per superficialità e per abitudine a ritenere – sono vivi e, in quanto vivi, capaci di generare un colloquio, il quale va in scena, prima di tutto, nel corso della visita museale: seduto su un divanetto o in piedi nel silenzio della sala, l’osservatore dialoga col dipinto o con la scultura o con l’oggetto che ha dinanzi a sé. Suddetta esperienza, però, non sempre cessa una volta che la visita è conclusa.
Spesso, infatti, echi e vibrazioni continuano a risuonare dentro l’anima. E così può accadere che il visitatore, rientrato a casa, continui a pensare a quanto ha veduto, continui a sentirsi avvolto da quell’aura che al cospetto dell’opera d’arte si è impossessata di lui, e che rinviene la sua essenza, secondo la fondamentale lezione di Walter Benjamin, nell’intreccio tra vicinanza e lontananza. A questo punto, anche scrivere una lettera rivolgendosi direttamente al soggetto raffigurato (la donna della “Lettura” di Antonio Salvetti, la “Bambina con collana” di Walter Fusi, i cavalli e i cavalieri della “Lastra fittile con corsa di cavalli”, la “Pietà” di Lorenzo di Pietro detto “Il Vecchietta”, il “Vecchio pescatore” di Augusto Bastianini) diviene un gesto naturale, normale, così come naturale e normale è attendersi di ricevere un giorno una risposta, la quale, se possiede la grazia e la poesia della penna di Maura Martellucci e Simona Merlo, finisce con l’accrescere la bellezza dell’opera d’arte evocata. Il passo che segue è tratto dal contributo di Mattia Barana, coordinatore del progetto.
“Quando il nostro occhio è scivolato sul dipinto di Ugo Capocchini “Donna con la rosa”, conservato nel Museo San Pietro di Colle di Val d’Elsa, abbiamo subito capito che sarebbe stata l’immagine perfetta per noi. Una figura femminile vagamente androgina ci osservava altezzosa dall’altra parte del quadro, lo sguardo profondo come un punto fisso in mezzo a un naufragio di pennellate caliginose. Superba eppure ferita. Determinata eppure fragile., forse malinconica. Una perfetta sintomatologia d’amore. Non ne conoscevamo ancora la storia: abbiamo però presto imparato le vicende di Clara, così si chiama la modella d’eccezione di Capocchini, a ad apprezzare anche lei, nonostante la bellezza poco convenzionale. Ci piace immaginarla come una giovane donna energica e volitiva che ha travolto la vita del nostro pittore, rapito da questa relazione che, giorno per giorno, sembrava diventare più forte. Capocchini, allora, con un filo di voce e la lingua spezzata per il troppo amore, le chiede di ritrarla. Lei, afferrata una rosa bianca un po’ spampanata, lo lascia fare, burbera e divertita mentre lui traduce i suoi tratti nel linguaggio che meglio conosce, quello dell’arte. Eppure, ancora prima di finire l’opera, la loro relazione s’interrompe bruscamente. E forse, quell’espressione malinconica già portava con sé un fosco presagio”.
Elisa Bruttini (a cura di), M’ama non m’ama, Betti, Siena 2023
a cura di Francesco Ricci