Amo la letteratura – poesia, racconto, romanzo – che parte dalla vita di chi scrive e si rivolge alla vita di chi legge.
Non amo la letteratura come gioco, come autoreferenzialità, come discorso intorno a se stessa. Mi piacciono i ponti che uniscono – perché identica è la sostanza dell’esistenza in tutti gli uomini, e dunque anche nell’autore e nel lettore – non i ponti che servono unicamente a confermare la non-prossimità, la non-tangenza, la non-vicinanza – la vita esperita “ex parte auctoris” e quella esperita “ex parte lectoris”. Per questo apprezzo moltissimo l’ultimo libro di poesie di Evaristo Seghetta Andreoli, che verrà presentato da Carlo Fini e Mariangela Colella (presente l’autore) a Siena, venerdì 25 novembre, alle ore 17.30, presso la libreria “Mondadori” di via Montanini.
Il titolo “Paradigma di esse” suggerisce bene come la centralità dell’io lirico, richiamata espressamente già dai titoli di alcune liriche (“Ho appena allacciato”, “Le mie parole”, “Mi domando”, “Attendo”, “Torno sui miei passi”, “Io fui con te”), sia costantemente arginata e contenuta dalla convinzione che a definire l’essere umano i tratti comuni non siano meno importanti di quelli specifici e che, di conseguenza, si possa proporre una sorta di modello – di paradigma appunto – creaturale. Se ogni uomo abita il tempo a modo suo e dal tempo è abitato, centrale, identica, decisiva per tutti è la presenza del Tempo (che Andreoli non a caso scrive sempre con la lettera maiuscola).
Ciò spiega anche perché le prime tre sezioni in cui si articola “Paradigma di esse” presentino, nel titolo, il verbo “essere” latino coniugato alla prima persona dell’indicativo presente (“Sum”), alla seconda (“Es”), alla prima persona dell’indicativo perfetto (“Fui”), mentre la quarta ed ultima sezione è denominata ricorrendo al modo infinito presente (“Esse”), quasi a suggerire un percorso dal particolare all’universale, dal singolare al generale. Infatti, la diaspora degli anni, le trasformazioni che il loro trascorrere induce nelle cose, nel senso delle cose, nelle persone, il disincanto, la stanchezza, il pensiero della morte e del morire, il bisogno di ravvisare un significato alla nostra presenza nel mondo, il vuoto lasciato da alcune improvvise assenze, sono propri della creatura umana non meno che degli uomini tutti, senza distinzione alcuna.
Vero è, però, che questi due piani appaiono continuamente mescolati e rimescolati nel libro, perché Andreoli sa bene che le esistenze di tutti gli uomini di pena si assomigliano e che perciò aveva ragione Ungaretti a voler intitolare l’intera sua raccolta, che pure conteneva delle liriche fortemente segnate da quella “sua” biografia, da quei “suoi” amori, da quei “suoi” strappi, da quei “suoi” incontri, “Vita d’un uomo”, perché era cosciente che in quelle pagine il lettore avrebbe ritrovato non solo la voce del poeta, ma anche la propria voce. La poesia che segue si intitola “Ho appena allacciato” e costituisce il testo liminare. Il nitore e la discorsività dello stile sono accompagnati da una costante attenzione alla musicalità del verso e alla selezione del lessico, con particolare riguardo per l’area del nome.
“Ho appena allacciato
il quinto bottone della camicia,
quando mi ricordo di esistere.
Ostinato mi fermo
a tastare le ossa del polso,
che conto una ad una,
nel loro ordine immutato,
prima che il lupo del Caos
nell’indistinto le disperda…
Tra i solchi del Tempo
e sulla barba cedua, le mie dita.
Attraverso il tatto passa la vita,
non l’esistenza.”
Evaristo Seghetta Andreoli, Paradigma di esse, Passigli, Firenze 2018