Dodici sezioni, centoundici poesie, la prefazione di Alessandro Fo, la postfazione (o, meglio, la “Prepostfazione”) di Lele e Vera Castellini: è così che si presenta l’ultima fatica letteraria di Francesco Burroni, intitolata “Gnamo!”. A definirla concorre, oltre la polimetria (l’uniformità degli endecasillabi dei sonetti è spezzata dall’uso anche di versi liberi) e il plurilinguismo (accanto al vernacolo senese incontriamo il romanesco e la lingua italiana), la “varietas” a livello di temi. Né ciò sorprende. La poesia di Burroni, infatti, nasce sempre da uno sguardo gettato in “larghezza” – dimensione spesso assente nella lirica novecentesca e contemporanea, che ha preferito dare rilievo alla dimensione della “profondità” – sulla realtà, senese e nazionale, sociale e politica, umana e naturale.
Di conseguenza, essa non può non guardare a quei generi che, come la satira latina, hanno costituito, già nel mondo antico, una forma di descrizione e di conoscenza del mondo delle cose, del mondo degli uomini. E uno dei tratti che meglio caratterizza la satira romana, nel suo continuo oscillare tra gusto dell’intrattenimento e moralismo, è rappresentato proprio dalla vasta gamma degli argomenti affrontati. Questa disponibilità di Burroni ad abbracciare tutto ciò che lo circonda, senza trascurare neppure la realtà virtuale (tecnologia digitale, Social network, sms) determina anche la ricchezza di toni – ricchezza emotiva, ricchezza sentimentale – della raccolta.
La gioia e il dolore, la rabbia e lo sconforto, la dolcezza e la malinconia, l’insofferenza e la comprensione, appartengono al poeta non meno che al lettore, che è così condotto a riconoscere, al di sotto della molteplicità delle situazioni e degli eventi, la sostanziale unità della persona umana, coi suoi pregi e i suoi difetti. In fondo, è proprio questo il dono più grande che la letteratura può farci: ampliare a dismisura la possibilità d’interazione con gli altri, portando alla luce affinità e somiglianze. È questa la ragione per la quale un libro ben riuscito ci fa sentire meno soli. Il sonetto che segue costituisce il testo liminare di “Gnamo!” ed è, a tutti gli effetti, un autoritratto dello scrittore.
“Sono un…ragazzo, ho più di 60 anni
e mi diverto a butta’ giù sonetti,
ne “il mostro di Firenze” ho fatto il Vanni
e ogni tanto pubbli’o ‘ol Betti.
Co’ la poesia ci campo ma ‘un fo danni
e ‘un c’è nessuno che m’ha detto: smetti!
Coll’età è normale un po’ d’affanni
e la cervi’ale e altri doloretti.
Quando mi ‘hiedano: ma di ‘he campi?
rispondo: teatro e improvvisazione.
Ho vinto un premio a Grosseto all’ANPI
co’ una poesia ‘he ho scritto a un partigiano.
Ancora ‘un ho l’età pe’ la pensione
e ciò un’Opel grigia ‘he va a metano.
a cura di Francesco Ricci