Furio Durando, Di mare e di memoria

Anna Maria Ortese ha sempre messo in relazione la possibilità di scrivere con la memoria di una ferita antica e immedicabile, di uno strappo violento, di una frontiera perduta. Infatti, la poesia, ma lo stesso potrebbe dirsi di un racconto o di un romanzo, si origina dallo sforzo di recuperare sulla pagina ciò che un giorno perdemmo, ciò che un giorno ci lasciò. Certo, e Anna Maria Ortese lo sapeva bene, sono tante le scaturigini e le maniere del poetare; ma per lei solamente questa idea della poesia si avvicinava alla verità sulla poesia: il resto possedeva troppo la sembianza di un gioco per poterla interessare e coinvolgere. 

La raccolta di versi di Furio Durando, “Poesie in versi liberi, 1976-2022”, a me pare offrire una preziosa conferma della bontà e dell’attualità della riflessione della grande scrittrice romana.  A suggerirlo, ancor prima della ricognizione condotta sui testi, sono i titoli delle sei sezioni nelle quali si articola la raccolta: “Limes limen”, “La vita e la memoria”, “Memoria e distacchi”, “L’urgenza del presente”, “Come dipinti dell’ultimo Corot”, “Antico immaginario”. L’esistenza, sentita e vissuta dal poeta come un transito il cui senso ultimo latita, alimentando così di continuo interrogativi e dubbi, viene amorevolmente recuperata nel ricordo, con la speranza da un lato, di poterla arrestare, almeno per qualche istante, dall’altro, di rubarle il significato che un incontro, un amore, una partenza hanno avuto. Da questo punto di vista, rammemorare e scrivere vengono a costituire la sola difesa (limes) che ci è concesso di erigere di fronte al trascorrere del tempo, delle emozioni, delle forme, di fronte all’incessante perdersi di tutto, apparentemente senza spiegazioni, nel nulla, di cui ciascun uomo fa esperienza a partire dal momento che si distacca dalla soglia di casa (limen) per incontrare il mondo.  Poesia fondamentalmente esistenziale, dunque, con un continuo passaggio, secondo la linea Leopardi-Montale, dal particolare all’universale, dal piano, cioè, dell’esperienza individuale (suggerita al lettore già dall’adozione per la raccolta di un impianto diaristico) a quello generale, senza che tale innalzamento/abbassamento produca attrito alcuno, poiché lo sguardo di Furio Durando non si ferma alla superficie delle cose, là dove tutto pare essere colore, molteplicità, distinzione, ma coglie il sostrato profondo della natura umana, dove il dolore e la gioia, quando e se vissuti con sincerità, finiscono col rendere tutti gli uomini simili.

Analogamente, non è dato cogliere frizione o rottura, nonostante l’ampia campata dei testi, che coprono quasi mezzo secolo, a livello di stile. Il linguaggio chiaro e di immediata comprensione (rare le espressioni ricercate, concentrate per lo più nell’ultima sezione), la sintassi lineare, il sapiente e attento uso delle figure di suono, il perfetto equilibrio tra descrittivismo e narratività, nel momento stesso in cui testimoniano l’influsso esercitato dalla cosiddetta linea sabiana sulla poesia di Durando, assicurano, nel loro riproporsi e ripresentarsi, una grande omogeneità stilistica a “Di mare e di memoria”. La poesia che segue costituisce il testo liminare. A impreziosire il libro concorrono la Nota della curatrice Costanza Bondi e l’Introduzione a cura di Antonio Donato Loscalzo.                

Mi fermo, e non calpesto

–come avrei fatto un tempo –

l’ape che arranca sull’asfalto nel suo stremo

di mezzo autunno. Mi somiglia.

La lascio sopravvivere nel sole

che ci scalda e passo,

passo avanti, oppresso

dall’identica sua pena:

illuminata, lei, di congenita legge naturale,

della meccanica fatale che sospende

le vite fra due nulla;

io disperato e perso,

incapace di comprenderne il nonsenso.

  

Furio Durando, Di mare e di memoria, Bertoni Editore, Perugia 2023

a cura di Francesco Riccio