Certe storie faticano a uscire fuori e a farsi racconto. In amore, ciò accade soprattutto quando siamo noi a lasciare qualcuno. Sì, certo, può avvenire anche quando siamo noi a venire lasciati. Ma è raro, è diffcile. L’afasia, infatti, come l’esperienza insegna, è generata più dall’essere noi “le couteau” che dall’essere noi “la plaie”, quasi che il malessere, che ci ha spinti a troncare un legame, non riuscisse a trasformarsi in parola. Per vergogna, per viltà, forse per il timore di scoprirci ben peggiori di come ci giudichiamo e sempre ci siamo giudicati.
O, probabilmente, per tutte queste ragioni messe insieme. Credo che sia (anche) questo il motivo per il quale “Diario degli amori difficili” di Giacomo Sillari è un libro scritto adottando la prospettiva di chi viene lasciato. Il protagonista narratore, infatti, tranne che in un caso (“Le stagioni di Lucia”), nel ricordare e ridare vita ad alcuni episodi della propria storia sentimentale, che è anche un’educazione sentimentale, si viene sempre a trovare “ex parte relicti”. Ed è un narratore, sia detto per inciso, che somiglia non poco all’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, del quale condivide l’irresolutezza, l’inettitudine, un certo cinismo, come attestano i passi che seguono: “Ti sei scontrata con la mia debolezza” (p. 32), “perché noi deboli sviluppiamo un fiuto bestiale” (p. 33), “il mio lato cinico e disincantato”. In ogni caso, Dostoevskij costituisce solamente uno dei filtri letterari presenti nel prosimetro – ogni capitolo di “Diario degli amori difficili” è chiuso da una breve poesia” –; espressioni quali “Lucrezia era una donna da romanzo, perfettamente letteraria nelle sue sfumature di disperazione e sapienza mondana” (p. 20), “cercando di nobilitare le nostre vite prosaiche con l’illusionismo incantato di una poetica che finga di riscattarci dai nostri pensieri repressi” (p. 34)“alcuni dei quali indegni di essere raccontati persino in un’opera di fantasia come questa” (p. 91), testimoniano indiscutibilmente il riuso, da parte dello scrittore, di materiali letterari diversi. Non sarà il riuso libero e spregiudicato cui ci ha abituato tanta letteratura del Postmoderno, ma di riuso, e dunque di intertestualità, pur sempre si tratta.
Ciò naturalmente non esclude che l’esperienza di vita dell’autore in carne e ossa costituisca il punto di partenza della narrazione e che la scrittura sia anche un tentativo di capire meglio il senso di quanto gli è accaduto e, in special modo, il senso dell’amore. La conclusione alla quale giunge il protagonista narratore in merito alle difficoltà della vita di relazione tra uomini e donne, di conseguenza, può essere interpretata anche come il distillato di una reale esperienza esistenziale (di tante reali esperienze) trasfigurata letterariamente. Ma il dubbio e la perplessità che la voce narrante a più riprese manifesta sia quando si tratta di ricordare (“Ci lasciammo a Novi Sad. O forse a Budapest, non ricordo bene, dopo un viaggio infelice”, p. 10) sia quando si sofferma sulla propria condizione interiore (“e non so se essere felice o triste per averla persa”, p. 22) finiscono con l’alimentare il dubbio e la perplessità del lettore a proposito del ruolo giocato dall’invenzione in un’opera che pure, a partire dal titolo (diario), non intende celare il legame che intrattiene col privato, il personale, il vissuto dell’autore. Il passo che segue costituisce l’introduzione di “Diario degli amori difficili”.
“Scrivo di donne, un capitolo per ognuna tra quelle che sembrano essere state le più importanti della mia vita. ‘Importanti’ qui sembra essere quasi sinonimo di difficili, complicate: le relazioni, non le donne in sé. Le donne in sé sono certamente complicate, ma io sostengo che anche gli uomini lo siano, perlomeno gli uomini come me. Quello che certamente e felicemente succede è che scrivendo riesco a filtrare i sentimenti e i ricordi dalle emozioni negative che gli stanno addosso come calcare, e il risultato di questa scrematura è una visione più stabile e più adulta di quanto accaduto, che di conseguenza è meno esposta alle burrasche della rabbia, della delusione, del vittimismo, dell’odio, chi più ne ha più ne metta. Così facendo mi ritrovo ad essere un poi’ più distaccato e a tratti perfino cinico. Di conseguenza mi posso permettere il lusso di giocare e scherzare su aspetti altrimenti dolorosi o disturbanti, e di azzardare letture apparentemente illogiche o addirittura tendenziose che invece con il tempo, generalmente, si rivelano essere le più esatte; e se esatte ci sembra essere un aggettivo greve e inopportuno in questi contesti così tanto, troppo umani – e di certo lo è – allora diciamo costruttive, interpretazioni audaci che rivoltano e stravolgono, come fa l’aratro con la terra. Male non fanno, Per me è giunta l’ora di diventare adulto; perciò, per non lasciare niente di incompiuto, ho inserito una bonus track, una quinta donne che è anche la prima che ho conosciuto carnalmente, un ricordo troppo normale di una notte incolore in un tempo lontano. Non mi rimane che mettermi a lavoro, per liberare la strada all’adulto che è in me. Commettere adulterio, in altre parole. Tradire il bambino che voleva regnare incontrastato fino alla fine dei giorni. Il bambino stupido o quello dotato, poco importa. Qualcuno si tradisce sempre”
Giacomo Sillari, Diario degli amori difficili, Transeuropa, Massa 2023
a cura di Francesco Ricci
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