C’è molta letteratura nei “Banditori della nebbia”, l’ultimo romanzo di Iuri Lombardi. Scoperti, infatti, appaiono i modelli – i cosiddetti giovani scrittori degli anni Ottanta (Enrico Palandri, Pier Vittorio Tondelli, il primo Andrea De Carlo) –, sorvegliatissima la pagina. In quest’ultima si alternano registro alto e registro basso, coesistono forme auliche o arcaiche (ludibrio immemore, è d’uopo, mongolfiera di odori, diafane, angiporti) e forme che la retorica antica avrebbe citato come esempio di “sermo plebeius”. E se le prime appartengono alle parti diegetiche, concorrendo, assieme alla sintassi ipotattica che procede per ampie partiture, a conferire allo stile un tratto barocco, le seconde trovano nelle parti dialogate il loro impiego più marcato.
Alla luce di questa osservazione, si potrebbe parlare dei “Banditori della nebbia” come di un’opera che strizza l’occhio alla letteratura del Postmoderno, se è vero che quest’ultima rinviene proprio nel pastiche e nell’intertestualità due delle sue caratteristiche di fondo, che fanno dello scrittore un bricoleur senza angoscia e senza disperazione. Quando, però, si ha a che fare con un libro di Iuri Lombardi, è sempre bene diffidare delle apparenze. L’immediatezza, l’essenzialità, la povertà lessicale dei dialoghi della “banda di scalcinati ragazzini” (i protagonisti del romanzo), infatti, non si spiegano – o non si spiegano solamente – alla luce di uno sperimentalismo linguistico, che ama accostare e mescolare l’alto e il basso. Piuttosto suddetti elementi (immediatezza, essenzialità, povertà lessicale) sono la spia, a mio avviso, dell’irrompere della realtà nella pagina, della verità della vita nella pagina. Perché questo modo di esprimersi è dei personaggi del libro non meno che dei nostri adolescenti e dei nostri giovani.
Perché il loro ricorrere in maniera quasi esclusiva, come modo e come tempo verbale, al presente indicativo, tradisce la più completa assenza di apertura sul domani, mentre il passato non è più vissuto da loro né come fattore identitario dell’individuo né come riserva di un sapere, a costituire la quale hanno concorso in modo decisivo le esperienze fatte e gli insegnamenti forniti dagli altri. Alla fine, “I banditori della nebbia” è un libro che si lascia apprezzare sia da chi è convinto che la letteratura può e vuole parlare solo di sé sia da chi chiede a un libro di fornirgli un aiuto a comprendere meglio il proprio tempo. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale.
“Non sappiamo se questa storia abbia mai avuto un inizio o se, per ipotesi, in fragranza di un dato oggettivo, come si suole dire, o peggio ancora per assurdo il tutto sia vero, sta di fatto che la sera spesso andiamo da Artemio, sin poco fuori la piazza dell’Anfiteatro e là restiamo a confabulare, a giocherellare in un bailame simile a una nidiata di zanzare imprigionate da una rete. Artemio lavora in una botteguccia da poco, in una stamberga ripristinata da un sottosuolo adibito a cantina, dove per secoli è stata conservata nei sacchi la farina di castagne e quella bianca per i’Necci ed il pane di Altopascio ed ora, nella dimenticanza di un gesto amoroso, ora nel tripudio di un ludibrio immemore, trasformata in una rivendita di souvenir. Da Artemio passiamo il tempo, quel briciolo che abbiamo, come è d’uopo fare ad una banda di amici dopo il lavoro in un contesto meno assurdo del nostro in un bar, nell’intento di dimenticare ciò che avviene nella nostra piccola galassia e tralasciando nel dimenticatoio, in una delle tante intercapedini dell’inconscio, la ragione del nostro essere a Lucca, dell’esilio, di questa strana reclusione, se pur democratica, di stato. In effetti, se vogliamo dircela tutta ed esser sinceri sin nelle viscere, noi siamo qua per volere del dott. Max e lui a sua volta per volontà di Andrea Della Farina, l’imprenditore, il luminare di psichiatria, che per disegno dell’attuale coalizione politica ha investito, mettendo su una piccola emittente televisiva. E in piena era post-industriale siamo ad intavolare un ordine di informazione, un palinsesto di trasmissioni apparentemente senza uno stralcio di motivo. Ma sappiamo anche che la ragione è solo un dettaglio – un souvenir, come quelli di Artemio”.
Iuri Lombardi, I banditori della nebbia, LFA Publisher, Napoli 2019
A cura di Francesco Ricci
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