Laura Del Veneziano, In-Fine

Esile e deliziosa. È così che si presenta al lettore l’ultima raccolta di racconti di Laura Del Veneziano (Arezzo 1980), intitolata “In-Fine”. Esile, se guardiamo alla quantità, dal momento che contiene sette brevi racconti; deliziosa, se prendiamo in considerazione la scrittura, sempre sorvegliatissima nel lessico e nella sintassi, e attenta a restituire i trasalimenti e le inquietudini profonde dell’“io” dei personaggi.

Parlo a ragion veduta di “io” dei personaggi, perché i racconti che compongono “In-Fine” possiedono l’aspetto di veri e propri monologhi-confessioni, che sei celebri figure, tratte dal mondo del mito (Medusa, Alcesti), della Storia (Cleopatra, Marie), dell’arte (Alice, Rossella), ai quali si aggiunge quello della stessa autrice (Laura), pronunciano nello studio di uno psicanalista, indicato semplicemente col nome di Dottore.  Da questo punto di vista, il lettore, così come avveniva anche nel romanzo “Dieci donne” di Marcela Serrano, viene a costituire a tutti gli effetti una sorta di doppio dello psicoterapeuta, pur non possedendone le competenze specifiche: il gesto fondante e fondamentale per entrambi, infatti, è quello di mettersi in ascolto, di offrire la propria disponibilità all’ascolto (e “ascolto”, non a caso, è una delle occorrenze lessicali più importanti del libro). Ma l’ascolto di che cosa? Di frammenti di esistenza che, fino a quando era vissuta, o proprio perché veniva vissuta, si sottraeva alla comprensione del soggetto. La psicoanalisi e la scrittura vengono sempre dopo, quando la ferita si è aperta, quando il trauma ha avuto luogo, quando, direbbe Cesare Pavese, “la partita è perduta”.

La fine di un amore, la morte di una persona cara, il crollo di un mondo che noi avevamo creduto eterno e indistruttibile, la nostra trasformazione interiore, che ci rende irriconoscibili a noi stessi ancor prima che agli altri, il venir meno della giovinezza: vivere comporta che si facciano i conti anche con strappi, sconfitte, delusioni profonde. E dinanzi alle macerie della propria esistenza, la scrittura e l’analisi possono aiutare a rialzarsi, possono consentire, se non di ricostruire l’edificio andato distrutto, perlomeno di non morire schiacciati sotto le rovine. Ecco, io credo che alla base di “In-Fine” ci sia, oltre alla grande passione che Laura Del Veneziano nutre per la letteratura, la sua persuasione che l’essere umano non sia solamente “homo desiderans” – come ci insegna la psicoanalisi – o “animal symbolicum” – come ci insegna l’antropologia – ma anche “ens loquens”, un ente che rinviene, cioè, nella parola la sua principale cifra costitutiva. Di conseguenza, è solo per comodità che siamo soliti distinguere tra lo spazio dello scrittore (la sua stanza-tana) e lo spazio dello psicologo (il suo studio-confessionale); in realtà l’ambiente al cui interno entrambi si muovono è il mondo del detto-non detto-evocato-alluso- richiamato-censurato-rimosso, sottinteso – e dunque della parola nelle sue infinite declinazioni e possibilità d’espressione –, che acquista ora l’aspetto della pagina scritta ora del racconto e di ogni altra tecnica, che consenta di lumeggiare quelle zone selvagge d’oscurità dell’anima, che Dostoevskij, straordinario scrittore e psicologo del profondo “in nuce”, amava chiamare sottosuolo. Il passo che segue costituisce l’incipit del racconto intitolato “Alice”.        

“Caro Dottore, ben trovato! Non crede che sarebbe il caso di inchinarsi al cospetto di una Regina? Ma no, non si agiti, stavo solo scherzando! E comunque sono sicura che Lei di Regine ne abbia viste più di una in questa stanza e chissà di quanti e quali tipi… Mia sorella ha insistito tanto perché io venissi qui da Lei, dice che può aiutarmi a dare un significato ai miei sogni. Non comprende proprio che io non ho nessun problema con i miei sogni! Non c’è niente che io trovi strano o incomprensibile in loro. Credo che sia piuttosto lei – e con lei intendo mia sorella, eh, sa, ora che sono adulta ho imparato che con le parole spesso ci si può fraintendere e ci tengo a precisarle che a Lei (Lei) io mi riferisco usando la maiuscola, mentre per lei (mia sorella) no. Quindi le stavo dicendo dei miei sogni, che poi a pensarci bene, io non sono del tutto convinta che si sia trattato di sognare. Non mi ricordo affatto di essermi addormentata, né poco prima di entrare nella tana del Coniglio Bianco né tanto meno mi sono messa a spiegare a Kitty la Casa dello Specchio. In effetti, una volta passata nell’altro mondo, oltre alle due case di passaggio che dicevo prima, ho avuto un sacco di strane avventure, e nessuna di quelle avrei mai potuto prevederla, quindi, anche se quando le ho vissute, in effetti, mi sono sentita dentro a un nonsenso, e per molto tempo ne ho parlato come di sogni, poi a forza di pensare e ri-pensare ho capito che si tratta semplicemente di un mondo parallelo a questo. Ho tentato di spiegarlo a mia sorella, ma lei evidentemente non riesce a capire, ma con Lei forse sarò più fortunata!”

 

Laura Del Veneziano, In-Fine, Giovane Holden, Viareggio 2020

 

a cura di Francesco Ricci