Federigo Tozzi è stato per tutta la sua vita un flâneur. Solamente Sandro Penna – penso in particolare al Penna autore delle meravigliose prose di “Un po’ di febbre” – può essergli avvicinato nel Novecento italiano sotto questo aspetto. Dobbiamo essere grati, perciò, a Laura Perrini, la quale in un bel volume, prefato da Carlo Fini e introdotto da Riccardo Castellana, ricostruisce con perizia i momenti e i luoghi dell’incontro di Tozzi con la città di Roma.
Nella capitale, come è noto, Federigo Tozzi visse (e morì, per una polmonite) tra il 1914 e il 1920, cambiando più volte abitazione: l’ultima fu quella che si trova in via del Gesù 62, in pieno centro. A Roma conobbe Giuseppe Antonio Borgese (fu lui a introdurlo nell’ufficio stampa della Croce Rossa), Grazia Deledda (che andava a trovare nel villino in via Porto Maurizio 15, oggi via Imperia), Luigi Pirandello (del quale fu spesso ospite nella casa di via Bosio, nel quartiere Nomentano). A Roma ebbe il piacere di vedere finalmente pubblicati “Bestie” (1917) e “Con gli occhi chiusi” (1919). A Roma, infine, scelse tra più di cento novelle quelle destinate a confluire nelle raccolte “Giovani” e “L’amore”, entrambe uscite postume. Una città, la Roma di Tozzi, non solo molto diversa da quella attuale, ma anche da quella del secondo dopoguerra e degli anni del boom economico, nota al lettore attraverso i libri di Moravia e di Pasolini.
Della Roma conosciuta e percorsa dallo scrittore senese Laura Perrini, attingendo a piene mani dalle descrizioni contenute nel romanzo (incompiuto) “Gli egoisti”, in alcune tra le novelle, nelle pagine dei taccuini conservati da Glauco, il figlio di Federigo Tozzi, ci restituisce l’atmosfera e l’immagine dei vicoli dei Parioli, della zona della Stazione Termini, dell’Isola Tiberina e del Lungotevere, del rione di Trastevere, delle aree intorno a Castel Sant’Angelo, della campagna fuori dalle Mura aureliane. Sono luoghi, questi, che Federigo Tozzi, nel corso delle sue vagabonde passeggiate, scopriva e osservava con cura.
Poi, una volta tornato a casa, la memoria di quanto visto e di quanto provato nel corso della passeggiata si accampava al centro della pagina (del romanzo, della novella) con fedeltà e con precisione descrittiva, mai disgiunte, però, dal gusto per l’introspezione e dal soggettivismo, come provano i violenti chiaroscuri e gli intensi cromatismi rintracciabili specialmente nei quadri urbani. Il passo che segue si intitola “La casa nel vicolo dei Parioli” e rappresenta l’inizio del viaggio di Laura Perrini lungo le strade della Roma tozziana, che è “sempre bella, anzi meravigliosa”, come scriveva il grande artista senese a Domenico Giuliotti.
“Tozzi si trasferì a Roma, insieme alla moglie Emma e al figlio Glauco di cinque anni, nell’autunno del 1914. Il giornale senese La Torre, da lui ideato insieme allo scrittore Domenico Giuliotti, aveva da poco cessato le pubblicazioni, a causa di alcuni disaccordi tra i redattori, e Tozzi era convinto che non c’era più niente che potesse trattenerlo nella sua città. Così decise di vendere Il Pecorile, un podere ereditato dal padre – situato vicino Siena, lungo la via Cassia – e di dare in affitto quello di Castagneto, sulla colina di Poggio al Vento. Nella capitale lo scrittore prese in affitto la dipendenza di una villa che un armaiolo, il signor Sbricoli, aveva appena fatto costruire nel vicolo dei Parioli, al numero civico 6, su una collina ricca di pini, dalla quale si poteva ammirare un bellissimo panorama della città. A quel tempo nella zona c’era soltanto qualche cascinale in mezzo alle vigne e queste erano attraversate da viottoli, fiancheggiati da alti muri; erano sentieri privi di massicciata e, quando pioveva, si potevano percorrere soltanto a piedi. Proprio allora, nel quartiere Parioli, cominciavano a costruire i primi palazzi”.
Laura Perrini, A Roma per mano a Federigo Tozzi, Betti, Siena 2020
a cura di Francesco Ricci