Simone tracannava la sua birra ghiacciata su uno spiazzo che cadeva a capofitto nel mare. Con i ricci ricoperti di salsedine ed il sole che gli bruciava il viso. Uno zaino in spalla, mezzo vuoto, di quelli che riempiva per le sue avventure, che conteneva a stento un cambio, e un libro.
Aveva l’indole da Ulisse.
La smania di muoversi, per non sentire quell’imbarazzo tipico di chi si rende conto d’essere al mondo. E sete di conoscenza, leggeva d’ogni cosa, conosceva storie di animali fantastici, tutti i proverbi della nonna, e una manciata di pettegolezzi. Come Ulisse era forte, ed aveva un certo ascendente su chi gli stava intorno.
Con la sue belle parole riusciva a convincere gli altri del suo coraggio, della sua fierezza, di quante capacità avesse. Si spingeva sempre al limite delle sue possibilità, per dimostrare a se stesso il proprio valore. Mentre pensieroso se ne stava a braccia incrociate guardando l’orizzonte, e tenendo tra le mani la sua birra quasi vuota, sentì una pacca sulla spalla. Una mano che avrebbe riconosciuto sempre.
Girandosi ritrovò Maurizio, con la sua barba da filosofo, e il sorriso di chi già sa. Puntuale come sempre interruppe i pensieri dell’amico, prima che questi si allontanasse troppo. I due puntarono nella stessa direzione lo sguardo, come da sempre avevano fatto, raccontandosi come andavano le rispettive vite.
Ché di tempo ne era passato dall’ultima chiacchierata, ma per la convivialità con cui parlavano sembrava fosse passata poco più di un’ora. Maurizio raccontò all’amico una disavventura che per fortuna non era la loro, e per quanta compassione i due provassero, scoppiarono in una risata aperta.
Anche se di quella storia nulla c’era da ridere, aveva echi più tragici che comici, i due non poterono smettere di spanciarsi dalla risate. La loro era una di quella risate di chi si accorge della fralezza della vita, che come un soffio di vento tutto porta via, come una marea si accanisce su qualcuno.
E tu uomo nulla puoi, disarmato come sei. Ché al mondo non importa mica dell’indole da Ulisse o della barba da filosofo, unico che fa davvero il suo lavoro, senza ferie o giorni festivi, e per questo si becca tutte le colpe. Quella risata inappropriata e senza fine, accompagnata da uno sguardo serio e triste, sembrava sdoppiarsi, come le gocce di pioggia che quand’erano bambini aprivano le più grandi corse clandestine.
Da una parte il riso, ironico di un mondo che sembra capovolto, incomprensibile, circo d’eventi insensati. Dall’altra gli occhi attenti e seri di chi nota dietro gli eventi un perché. Smorzarono la risata guardandosi negli occhi e sorridendo, calando poi in un silenzio di tomba. Nel silenzio, con una spinta di spalla Simone disse a Maurizio d’aver capito.
Maurizio invece lo sapeva pure prima.
Carlotta Piccolo
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