Alla conoscenza della Parigi della seconda metà dell’Ottocento, le fotografie di Nadar (pseudonimo di Gaspard-Félix Tournachon) contribuiscono non meno della lettura dei “Fiori del male” o dello “Spleen di Parigi” di Charles Baudelaire, che da Nadar, come è noto, venne immortalato, al pari di Liszt, Berlioz, Wagner, Hugo, Manet. In un’epoca nella quale, come aveva già intuito il poeta francese, la velocità e la trasformazione costituivano gli elementi caratterizzanti (“d’una città la forma veloce si rinnova, / più rapida, ahimé, del cuore d’un mortale”), una fotografia, magari scattata dall’alto di un aerostato, finiva col rappresentare anche un atto d’amore.
Infatti, in quello scatto, così come in un testo in versi o in prosa, Parigi non solo viveva – l’immagine di Parigi, intendo – ma anche sopravviveva, al di là dei mutamenti indotti dalla modernità (che affascinava Nadar e che Baudelaire, invece, odiava), a livello di assetto urbanistico, di gusto architettonico, di abitudini e di mode. Sotto questo aspetto, il fotografo, lo scrittore, il pittore conseguono, pur impiegando linguaggi differenti, lo stesso risultato: mettere in salvo ciò che rischia di essere travolto dalla corsa del tempo.
Credo che un proposito simile stia alla base anche dell’ultimo lavoro di Luca Betti e di Andrea Leoncini, “Com’era Siena … dentro le mura”. Il volume (il secondo di una serie) consiste in una raccolta di cartoline, che si distribuiscono in un arco cronologico che dalla fine dell’Ottocento conduce agli anni Sessanta del secolo successivo. Sfogliarlo significa veramente recuperare proustianamente (visivamente) frammenti di tempo perduto, ritrovando non solo una “facies” urbana della nostra Siena, che molte volte ignoravamo del tutto (almeno i più giovani), ma anche le tracce di abitudini, attività, modi di essere, che rimandano a un tempo inesorabilmente remoto da noi. Il passo che segue è tratto dall’introduzione curata da Leoncini.
“Dei Terzi che compongono Siena, San Martino e Camollia sono quelli che più hanno subito trasformazioni urbanistiche, talvolta anche importanti e che, almeno in alcune zone, hanno completamente cancellato l’aspetto che queste avevano conservato per secoli. Mentre il Terzo di Città ha sostanzialmente conservato l’assetto viario medievale – a parte la demolizione del palazzo vescovile avvenuta nel ‘600 per creare la piazza che divide il Duomo dal palazzo della Prefettura – gli altri due Terzi hanno subito trasformazioni più importanti. Più che di semplici trasformazioni, in alcuni casi sarebbe più giusto parlare di stravolgimenti del tessuto urbano, con l’apertura di nuove strade e piazze e la demolizione totale di antichi edifici, per la verità spesso in condizioni fatiscenti. La molla che fece purtroppo scattare negli amministratori della città l’intento di rendere Siena più moderna furono l’inizio del ‘900 e l’omicidio di re Umberto I, e la zona su cui concentrarono le loro attenzioni fu l’area del medievale castellare dei Malavolti. Il castellare fu demolito, il poggio che da questa famiglia prendeva nome venne spianato dando forma a una piazza dedicata al re che, nonostante avesse premiato il generale Bava Beccaris per aver preso a cannonate nel 1898 i milanesi che protestavano per l’aumento del costo del pane, era definito il re buono”.
Luca Betti – Andrea Leoncini, Com’era Siena … dentro le mura. Il Terzo di San Martino e il Terzo di Camollia, Betti, Siena, 2016
a cura di Francesco Ricci