
“Partire è un po’ morire” di Luigi Bicchi si apre e si chiude su un’immagine della città di Siena, la vera protagonista del romanzo. In apertura, infatti, incontriamo la descrizione del Prato di Sant’Agostino – Bicchi eccelle nelle descrizioni – al cui interno è collocato anche il personaggio di Costanza Brori, giornalista de “Il Nuovo” di Siena: “Costanza Brori era lì, vicino alla fontanella con la cannella a forma di lupa”. Analogamente in chiusura il lettore è messo nuovamente di fronte allo stesso paesaggio urbano (“L’auto scendeva lentamente verso Porta Tufi”), rispetto al quale, però, stavolta Costanza occupa una posizione marginale, defilata, dal momento che si trova – malinconica osservatrice -dentro un’automobile dei Carabinieri: “Costanza sentì un brivido di freddo salire lungo la schiena. Forse era per quel refolo di vento che, insinuatosi nell’abitacolo dal finestrino semiaperto, diceva che quell’estate, per molti versi straordinaria, stava per finire”.
E tra la Costanza che in piedi, vicino alla fontanella a forma di lupa, ne tocca la testa bronzea e ricorda quando, da bambina, giocava in quella distesa di sassi (“Tuliscio… quante volte e quante ore ci aveva giocato anche lei”) e la Costanza che, seduta in automobile, osserva i muri di mattoni rosa antico e s’interroga sul domani che l’attende (“Domande e ancora domande che le si sovrapponevano nei pensieri”), si dipana un’avvincente storia di morte, politica e malaffare. Luigi Bicchi, come già in precedenza aveva fatto con la serie di romanzi che vedeva come protagonista il maresciallo Casati, intreccia sapientemente la dimensione locale (Siena e le terre di Siena) con la dimensione nazionale, facendo di “Partire è un po’ morire” un’opera che costituisce uno spaccato del nostro Paese non meno che dell’ethos senese, colto e mostrato, quest’ultimo, tanto nei suoi vizi quanto nelle sue virtù. Naturalmente il rilievo accordato nel romanzo alla città del Palio non toglie affatto importanza – intendo importanza narrativa – alla figura di Costanza, il cui ritratto si va disegnando di pagina in pagina come quello di una donna innamorata del suo lavoro, tenace, mai disposta ad accontentarsi di mezze verità. Da questo punto di vista, mi pare di poter dire che in “Partire è un po’ morire” è in atto dal principio alla fine una doppia inchiesta: quella finalizzata a scoprire le ragioni del massacro di una pattuglia di Carabinieri e quella, tutta personale, che la giornalista investigativa conduce nelle profondità della propria anima per conoscersi meglio e verificare la consistenza di certi sentimenti da lei provati. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale, intitolato “Il Prato di Sant’Agostino”.
“Il Prato di Sant’Agostino è una piazza di sassi, anzi è una vera e propria distesa di sassi, con
qualche panchina, i giochi per i bimbi, gli alberi, un grande ippocastano, il murello che la separa
da un balzo su un niente che una volta era un campo per la pallacanestro. Chiamarla Prato
dimostra il grande, incrollabile, inguaribile ottimismo dei senesi. Costanza Brori, era lì, vicino alla
fontanella con la cannella a forma di lupa. La lupa, icona ripetuta in piazze, strade, palazzi, sulla
cima delle colonne, agli angoli del Palazzo Pubblico. La lupa, immagine e anima. La città si
specchia in lei, ne ha invidiato la libertà, quando era costretta da altri, e il movimento
instancabile, quando era rinchiusa. È in questo riconoscersi che Siena ha sempre saputo
rialzarsi. Con lo sguardo fisso su quei sassi, quasi senza pensarci, Costanza iniziò ad
accarezzare la testa di bronzo, ne sentì la forza del collo, ne percepì l’acutezza dello sguardo,
ne saggiò le orecchie dolci e appuntite. Quel sentire la rimandò a qualcosa di altrettanto aguzzo
che aveva lasciato da poco: Adelina e Guendalina, le sue gatte. Bianche, birbanti e curiose
come solo le gatte sanno essere, ma anche affettuose dispensatrici di coccole quando lei ne
aveva bisogno. Quel ricordo che le si era affacciato improvvisamente le procurò un disagio, una
sensazione sgradevole allo stomaco come le capitava sempre quando si trovava di fronte a
situazioni impreviste delle quali era difficile pronosticare l’esito: un esame, una partenza
improvvisa, una sorpresa non gradita”.
Luigi Bicchi, Partire è un po’ morire, Betti, Siena 2025
a cura di Francesco Ricci