Per un insegnante innamorato della sua professione, parlare di sé comporta sempre parlare anche dei suoi studenti. Scrittori di successo come Daniel Pennac, Frank McCourt, Paola Mastrocola, Eraldo Affinati, lo testimoniano eloquentemente. L’ora di lezione, infatti, anche quando è rispettosa – come dovrebbe esserlo – della distinzione di ruoli (il docente, il discente), tuttavia genera una circolarità di esperienze, emozioni, vissuti, che accompagnano sia il maestro sia l’alunno anche nel proseguo della giornata. Per chi i ragazzi sappia vederli e non soltanto guardarli-valutarli-etichettarli, l’eco generata dalle parole, dagli atteggiamenti, dalle domande, dalle reazioni che hanno luogo nel corso di una spiegazione, di una interrogazione, di una conversazione, perdura, si confonde con le occupazioni quotidiane, si fa ricordo.
Ecco perché il tempo dei consuntivi è sempre, per un insegnante, il tempo del “noi”. Una conferma in tal senso ci è offerta anche dall’ultimo libro di Margherita Fontani, la quale, mentre ripercorre la sua lunga carriera di maestra elementare (in alcuni borghi del Chianti, alla scuola Duprè, presso la Clinica Pediatrica di Siena, alla Saffi), non solo dà conto dei profondi mutamenti intervenuti nella scuola primaria – uno su tutti, l’addio, con l’attuazione della legge 148 del 1990, alla figura del maestro unico – ma presta la sua voce pure a tutti quei bambini da lei incontrati e accompagnati con dolce entusiasmo fino alla soglia della media inferiore. E insieme con loro a venire rievocati sono colleghi, direttori didattici, ispettori, insomma l’intera famiglia del variegato universo scuola. Il passo che segue costituisce la postfazione scritta dalla stessa autrice.
“Nella mia vita di maestra ho conservato molti scritti degli alunni, naturalmente i più significativi, e ora, a distanza di anni ho deciso di pubblicarli e posso fare delle osservazioni. Messi a confronto con gli scritti dei bambini di oggi (anni 2016-17), non troviamo grandi differenze. I bambini sono sempre uguali, sia quelli nati nel secolo scorso che quelli nati nel nuovo millennio. Sono tutti ricchi di sentimento, amano la natura, sono curiosi dei particolari, molto intuitivi e tutti, ma proprio tutti, possiedono una certa vena poetica. È l’età dell’adolescenza con tutte le sue problematiche naturali, aggiunte anche a quelle ipertecnologiche, che differenzia il presente dal passato. Certo che la scuola non sempre aiuta. Molti insegnanti sembrano contrapporsi agli allievi. Anche nel mio lontano percorso di alunna non ho mai sentito dire a un insegnante – Se fate bene io sono contento – oppure – Il vostro rendimento mi gratifica – o qualcosa di simile.
Anzi avevamo l’impressione che il votaccio rendesse contento il professore. Senza corrispondenza d’interesse e sentimento il processo educativo non si realizza in modo positivo. I bambini sentono se sono amati o sopportati, capiscono tutto degli adulti, ma non esprimono commenti e critiche in modo diretto. Anche se sembrano assorti in qualcosa di interessante, ascoltano e capiscono i discorsi degli adulti. Accettano i rimproveri e giuste punizioni. Ma soffrono per le derisioni, l’indifferenza e la scarsa fiducia dei “grandi”, soprattutto degli educatori. Non per questo i piccoli devono essere preservati dai dispiaceri, dalle privazioni, dalle delusioni e dalle difficoltà. La vita, prima o poi, presenta un conto salato a tutti e se non siamo preparati fin dall’infanzia, in seguito è troppo tardi. Le conseguenze possono essere dolorose, come purtroppo la cronaca ci mostra spesso. È noto a tutti che la personalità di un adulto dipende da come ha vissuto l’infanzia”.
Margherita Fontani, Bambini… tutti in classe!, Siena, extempora edizioni 2017
a cura di Francesco Ricci