Maria Grazia Calandrone, Magnifico e tremendo stava l’amore

La grandezza dell’ultimo romanzo di Maria Grazia Calandrone, “Magnifico e tremendo stava l’amore”, è possibile misurarla sul piano della scrittura, sul piano della costruzione, sul piano dei contenuti. Dunque, siamo in presenza di una grandezza (di una bellezza) che investe e abbraccia l’opera nel suo complesso. Per quanto riguarda il primo punto, è sufficiente gettare lo sguardo su una qualsiasi delle 313 pagine che compongono il libro per rendersi conto di quanto attenta sia la scelta del lessico e di quanto variato sia l’impiego della sintassi, la quale vede paratassi e ipotassi sapientemente alternarsi senza generare alcun attrito che non sia voluto, che non risponda, cioè, a un’esigenza squisitamente stilistica. La costruzione del romanzo, invece, rinviene il suo elemento di maggior evidenza nella compresenza di tre piani temporali distinti e lontani. Il primo piano è circoscritto agli ultimi mesi dell’anno 2003 e al gennaio del 2004; il secondo abbraccia il ventennio compreso, approssimativamente, tra i primi anni Ottanta e l’inizio del terzo millennio; il terzo, infine, si estende grosso modo tra il 27 gennaio 2004 e la primavera del 2014. Ad aprire “Magnifico e tremendo stava l’amore” è, infatti, la descrizione di un tramonto romano di fine dicembre 2003 (“L’anno 2003 sta per finire, su questa strada della periferia romana, che si biforca dal tredicesimo chilometro Sud dell’Aurelia”), mentre la conclusione ci conduce undici anni più tardi (“Il 22 aprile 2014, alla rapidissima conferma della sentenza di assoluzione, Fabrizio, stavolta più severo e provato, rimane fermo in sé”).

Ma l’ampio ricorso all’analessi consente al narratore di recuperare episodi anteriori a tale decennio e di raccontare non solo la giovinezza, ma anche l’infanzia dei due protagonisti, Luciana e Domenico. Non solo. Le loro esistenze e la loro vita di coppia sono costantemente inserite all’interno della Storia italiana, al punto che il romanzo può essere letto anche come una raffigurazione attentissima delle trasformazioni subite dalla nostra società nel corso degli anni Ottanta e Novanta (specie per quanto concerne la condizione della donna) e dei principali fatti politici, dall’arresto di Enzo Tortora a Mani pulite, dall’omicidio di Falcone e Borsellino alla discesa in campo di Silvio Berlusconi, senza trascurare quanto accaduto nel resto del mondo (la guerra delle Falkland, la caduta del muro di Berlino). Infine, per quanto riguarda il piano dei contenuti, il romanzo muove da un fatto di cronaca realmente accaduto (il caso Cristallo), ne ripercorre fedelmente le tappe principali, riportando tra virgolette anche le deposizioni di testimoni e le risposte alle interviste da loro rilasciate ai media.

Eppure, il lettore non ha mai la sensazione di trovarsi in presenza del mero resoconto giornalistico di una vicenda prima di cronaca nera, poi di cronaca giudiziaria. E questo perché interviene la scrittura, nel senso più ampio del termine, a conferire all’opera un carattere eminentemente letterario, una dignità squisitamente letteraria. L’inserzione di versi tratti da canzoni e da poesie (Montale, Cvetaeva, Pasolini), di citazioni ricavate da testi di Ernaux e di Barthes, di una prosa che sovente vira in direzione del genere lirico – come intenzionalmente rivelano certe spaziature e caratteri grafici – concorrono in modo determinante, insieme alla sapiente costruzione dell’opera cui si è già accennato, a evitare sin dalle prime pagine ogni possibile equivoco: tutto ciò che leggiamo in “Magnifico e tremendo stava l’amore”,  non rimanda, per dirla con Calvino, al “mondo non scritto”, ma al “mondo scritto”. Il suo posto è di diritto accanto a “Dove non mi hai portata”. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale.              

“L’anno 2003 sta per finire, su questa strada della periferia romana, che si biforca dal tredicesimo chilometro Sud sull’Aurelia e prosegue diritta da Casal Lumbroso ai pratoni stopposi, ripianati dal vento. Il cielo è piombo privo di riflessi. Il bagliore, da Ovest, del tramonto urbano, piatto come una lama. Poche le luminarie del Natale appena trascorso, pochi i passanti. Corpi che sono inserti di desiderio nell’ottuso elevarsi del cemento armato sulla terra stravolta dagli sterri. La visuale dell’Agro è ostruita da una schiera di costruzioni immobili sotto le geometrie elastiche degli storni. Piegatura di ali sulle condotte idriche. Sui balconi coperture leggere di laminato plastico e onduline. Qualche fioriera, la coscienza di un amore umano che stasera brilla, nel rossofuoco dei gerani. Un mese prima del Fatto. Manca un mese al Fatto che cambierà la vita di tante persone. Ma questo Fatto viene da lontano. La donna che attraversa quell’imbrunire lacerato dalle ghiacce correnti della steppa e percorre la piccola salita verso l’immobile di via Santini, un edificio razionale a forma di casa a dieci minuti d’auto dalla discarica di Malagrotta, non ha quasi in comune con la ragazza che vent’anni prima sorrideva splendendo, nel luccicore intenso di una baia affacciata sulle smerigliature della costa greca”

Maria Grazia Calandrone, Magnifico e tremendo stava l’amore, Einaudi, Torino 2024

 

a cura di Francesco Ricci