Miretta Pasqui, Il canto delle cose, Betti, Siena 2024

Michele Taddei, Cuore di Giglio, Genova, De Ferrari, 2016

La poesia di Miretta Pasqui, come rivela la raccolta “Il canto delle cose. Poesie 1019-2023, accoglie al suo interno, a livello di contenuto, ogni aspetto della realtà. Il piccolo e il piccolissimo convivono, infatti, col grande e col grandissimo, le conchiglie e le spore con gli abissi e i ghiacci, la goccia e la coccinella con il mare e i pianeti. A unificare ciò che è quantitativamente e qualitativamente diverso interviene la persuasione della poetessa che ciò che esiste – ogni cosa che esiste – è dotato di significato e, quindi, rimanda a un significato.

Non è detto, però, che tale significato si offra immediato allo sguardo di chi osserva il mondo, specie se l’osservatore è convinto che il reale coincide esattamente con ciò che è possibile vedere, toccare, misurare. Piuttosto, occorre abbracciare un diverso ordine mentale e filosofico, vale a dire quello che reputa la realtà come l’unione di visibile e invisibile, di immanente e di trascendente.  A quel punto, può accadere di “vedere nel silenzio / oltre il buio e il vuoto / dell’abisso / il senso / una parola / il miracolo / all’improvviso”. Ciò fa sì che la poesia di Miretta Pasqui sia (anche) una poesia del dolore, dell’assenza, della perdita, ma mai una poesia dell’angoscia: lo scopo del nostro essere-nel-mondo e, più in generale, di ogni essere-nel-mondo, è riconosciuto e affermato. Anche per questo l’area semantica dell’oscurità (“buio”, “oscuro”, “nero”) appare controbilanciata dall’area semantica della luminosità (“luce”, “chiaro”, “illuminato”), mentre a livello di scansione temporale dell’anno lo spazio riconosciuto al tramontare e al finire (l’autunno, l’inverno) non è maggiore rispetto a quello del crescere e del maturare (la primavera, l’estate). Per quanto concerne, poi, lo stile, esso appare straordinariamente uniforme, sia che il tema affrontato consista nel recupero memoriale di esperienze private dell’autrice sia che rimandi alla rappresentazione del paesaggio naturale. A definirlo sempre, infatti, concorrono l’impiego dell’anafora e della ripetizione, la sintassi paratattica, lo stile nominale, l’uso dell’assonanza e della consonanza con funzione suppletiva della rima, la versificazione libera, il gusto per la sentenza, l’adozione di un lessico semplice e comune.

La poesia che segue, “Una camelia”, è il testo di apertura, recante in calce la data 27 febbraio 2019.           

“Mi guarda e sorride

una camelia

fiori bianchi aperti

e bocci lungo un

fusto che tende verso l’alto.

Mi ascolta

ascolta e sorride

alla piccola onda

che ieri attraversò

veloce

il mio spazio.

 

Miretta Pasqui, Il canto delle cose, Betti, Siena 2024

a cura di Francesco Ricci