C’è qualcosa di straziante e di prezioso che percorre dall’inizio alla fine “Ti aspetterò tutta la vita” di Nadia Toffa. Qualcosa che ora appare raccogliersi in un componimento di breve respiro ora appare affidarsi a partiture più ampie e distese. In ogni caso è sempre presente, tanto da costituire, in ultima analisi, il tono di fondo del libro intero. Per comprendere cosa sia questo “qualcosa”, occorre ricordare in primo luogo quando hanno visto la luce i pensieri e gli stati d’animo poi confluiti in “Ti aspetterò tutta la vita”. Temporalmente, essi si collocano negli ultimi mesi di vita di Nadia Toffa, segnati da momenti di profondo sconforto e di tenace speranza, contraddistinti da un bisogno crescente di comunicare che si fa urgenza, necessità, imperativo. Perché il tempo potrebbe all’improvviso mancare, perché le forze potrebbero venire meno. E a quel punto il foglio di carta, lo schermo dello smartphone, qualunque altro supporto scrittorio, non restituirebbero più né immagini né segni, ma qualcosa di troppo simile al vuoto per poter essere accolto e amato. Questa urgenza, però, non deve essere interpretata come un’urgenza stilistica. Sia le poesie che le prose, infatti, sono lontanissime dal suggerire l’impressione della trascrizione immediata: tra la vita e la pagina Nadia Toffa interpone sempre l’arte, come attestato a sufficienza dai parallelismi, dalle anafore, dai chiasmi, da alcune metafore fortemente espressive e, soprattutto, da alcuni bellissimi incipit: “Occhi tagliati dal vento del deserto hanno un istinto infallibile”, “Erano muri fragili quelli da abbattere”, “Seguimi! Nulla devi temere. Capriole di gioia ti avevo / promesso”, “Mi lasci perché non sopporti di vedermi felice”, “Il modo in cui perdi racconta tutto di te”, “Ricordati. Sei strana solo per chi non sa capirti”. No, l’urgenza di cui parlo rimanda al piano dei contenuti, come rivelano già i titoli delle sezioni in cui il libro si articola: “Cerco la mia via”, “Amore assoluto”, “Amore chiaroscuro”, “Storie dei sempreovunque”. È il tempo, in sostanza, che seleziona i temi, è il tempo, che a un certo punto si rivela a Nadia Toffa in tutta la sua tragica brevità, a suggerirle di cosa parlare, a far sì che un’esperienza individuale, quella dell’autrice, si faccia testimonianza e messaggio valido per tutti. “Ti aspetterò per tutta la vita” è un libro scritto “ex parte mortis” – e ciò è straziante –,ma è indirizzato ai vivi – e ciò è prezioso –, perché leggendolo non si avverte mai, neppure per un solo istante, che il legame con la vita è stato reciso o che può venire reciso. La ricerca del proprio cammino (“Cerco la mia via”), l’attenzione rivolta al sentimento d’amore, vale a dire al più potente vincolo in grado di unire gli individui (“Amore assoluto”, “Amore chiaroscuro”), la celebrazione di uno spazio, fisico e temporale, che, in quanto privo di limiti, prefigura e suggerisce l’infinito (“Storie di sempreovunque”): siamo costantemente trascinati al cuore di un’esistenza scandita da calendari, agende, orologi terrestri (e dunque nostra), mai in prossimità di cieli diafani ed eterni. Il passo che segue è tratto dal capitolo che inaugura la sezione intitolata “Cerco la mia vita”. Il volume – il cui ricavato dalle vendite, per quanto concerne i diritti d’autore, è destinato, attraverso la neonata Fondazione Nadia Toffa e in collaborazione con don Maurizio Patriciello, ad aiutare ii malati della terra dei Fuochi – è arricchito da un contributo di Mara Toffa, da uno scritto di Lorenzo Marini, da un’intervista a Gianluigi Nuzzi.
“Mi parlavi e mi chiedevo chi fossi e perché avessi tanto desiderio di parlarti e guardarti, mi chiedevo come potessi leggere così a fondo dentro ai miei occhi. Tante cose vanno spiegate con le parole, ma con te non era così. Capivi comunque. Mi mettevi a nudo l’anima, senza malizia, e per questo non provavo vergogna. Nessuno sa che cosa c’è dentro di me. Malinconia del ricordo di quando ci si sente soli. Con te magicamente mi sentivo come una piuma. Leggera, ma non avevo paura di essere trascinata via. Si nasconde la malinconia per sembrare più forti. Ma la mia fragilità con te era forza. Un déjà vu. Come in un mercato arabo a fissare una vetrinetta per scegliere un bracciale. Ma eravamo noi due, in un’altra vita, ci siamo allora ritrovati in questa? Perché? Ti ho implorato soccorso con una bandiera bianca e tu hai mantenuto la promessa. Ci sarà un’emergenza e avrò stremo bisogn9 del tuo aiuto. E la promessa è stata mantenuta. Sei qui. Siamo qui. Nata sola, randagia, figlia di nessuno se non della Madre terra. Ritrovata in un angolo di un teatro fissata da tutti, vista da nessuno, se non da te”
Nadia Toffa, Ti aspetterò tutta la vita, Chiarelettere, Milano 2020
a cura di Francesco Ricci