A partire dal Romanticismo, il Medioevo non è stato soltanto uno degli argomenti affrontati con vivo interesse da storici e saggisti, ma anche la materia di romanzi. L’età di mezzo, infatti, che già costituiva l’ambientazione di quelli che in Inghilterra erano denominati “gothic novels” (“Il castello di Otranto”, “L’abbazia di Northanger”), acquistò nel corso della prima metà dell’Ottocento una sua assoluta centralità grazie al cosiddetto “romanzo storico”, di cui Walter Scott e Victor Hugo sono due degli esponenti più significativi. Nel corso del tempo, poi, e con rinnovata forza a partire dalla letteratura del postmoderno, così portata alla combinazione, al montaggio e allo smontaggio, all’intertestualità, il Medioevo è stato visto dallo scrittore come tante cose contemporaneamente: lo spazio dell’esotico, la preistoria del presente, l’età di un’umanità energica e fiera, il luogo dell’intrigo e della menzogna, l’epoca di un integralismo religioso feroce e spesso miope, la celebrazione del sacrificio.
L’ultimo romanzo di Narcisa Fargnoli, “Vetera segreta”, che costituisce l’antefatto e la prosecuzione di “Benvenuti a Vetera!” (uscito nel 2018), a me pare che si collochi all’interno di questa moderna “rilettura” narrativa del Medioevo, in particolare del Basso Medioevo. Infatti, le vicende che coinvolgono, agli inizi del XIII secolo, Agilulfo, cadetto dei Lambardi, signori di Vetera, e successivamente fondatore, col nome di Scipione, della dinastia degli Origo, non pertengono al genere del romanzo storico più di quanto non rimandino al genere del romanzo noir (né occorre dimenticare gli amori, i tradimenti, le violenze domestiche). Significativa, al riguardo, è anche la bipartizione del libro in due parti: la prima, ambientata nel XIII secolo, e recante il titolo di “I segreti del passato”, la seconda, che dal XX secolo arriva fino ai giorni nostri, intitolata “I segreti del presente”. Ciascuna delle due sezioni è articolata in nove capitoli. Una sintetica scheda dei luoghi e dei personaggi della storia chiude il volume.
Ora, se abbracciamo complessivamente questi dati, che rimandano al semplice piano dell’impianto costruttivo, mi pare che sia già possibile fare alcune osservazioni: 1) Il segreto, il mistero, l’enigma, costituisce il vero protagonista del libro: la dimensione del tempo (il passato, il presente) è sì importante, ma la sua importanza discende dal fatto che “è accaduto” e “accade” che un talismano, riportato da Agilulfo in Italia come parte del bottino di guerra dopo la caduta di Costantinopoli, genera una serie di peripezie e di accadimenti. Insomma, se in luogo del XIII secolo avessimo il XVI secolo, “Vetera segreta” conserverebbe intatto il suo valore, la sua compattezza, la sua forza artistica. 2) La stessa simmetria della struttura, bipartita e con nove capitoli per l’età medievale e nove capitoli per l’età contemporanea, non deve essere interpretata come un mero accidente o un elemento casuale. Piuttosto, essa tradisce lo sforzo di Narcisa Fargnoli di conseguire sul piano della scrittura quell’ordine, così rassicurante, che spesso volte è precluso finché continuiamo a muoverci nell’ambito della Storia o dell’esistenza individuale. 3) La continuità profonda tra il passato e il presente, e dunque tra le due parti, è ideologica non meno che narrativa. Che sia narrativa appare evidente, dal momento che le vicende raccontate ruotano sempre attorno all’anello magico trasportato a Vetera dalle rive del Bosforo. Ma ancora più importante è l’unità ideologica, suggerita dalle citazioni, tratte da Cioran e da Freud, collocate in esergo alle due sezioni, le quali sembrano indurre il lettore a interpretare come un drammatico filo rosso che attraversa i secoli la propensione dell’uomo a compiere il male, la sua incapacità di governare gli eventi e di dominare le proprie pulsioni, la fragilità della bellezza dinanzi al vizio e all’egoismo. Quello che segue è il Prologo della vicenda.
“Esperienza esistenziale necessaria per ogni credente, i pellegrinaggi segnarono percorsi rimasti immutati fino a oggi, tracciando il cammino che, con la maggior sicurezza a quei tempi possibile, conduceva dal nord Europa a Roma e oltre, in Puglia, sul Gargano, al santuario di San Michele Arcangelo, dove i più audaci si imbarcavano per la Terrasanta. L’ininterrotta processione di penitenti, iniziata nei primi secoli della Chiesa, aumentò quando l’editto di Milano, nel 313, pose fine alle persecuzioni. Pochi anni dopo, la madre dell’imperatore Costantino, Elena Augusta, quasi ottuagenaria, trovò a Gerusalemme il Santo Sepolcro, la Croce e gli strumenti della Passione, che incrementarono il fervore religioso e il culto delle reliquie. Queste tangibili testimonianze del sacro divennero la principale motivazione a intraprendere l’itinerario di espiazione e di fede sulle tracce del Cristo e degli apostoli. Per molto tempo Occidente e Oriente riuscirono a mantenere una pacifica condivisione dei luoghi che erano santi non solo per i cristiani, ma anche per ebrei e musulmani; tuttavia, nel VII secolo, la rapida e inarrestabile espansione dell’Islam provocò la caduta di Gerusalemme e rese sempre più difficile per i penitenti raggiungerla senza rimanere vittime di agguati e rappresaglie da parte degli “infedeli”. Fu così giustificata la presenza di armati che, al grido di “Dio lo vuole”, li accompagnavano con l’intento di proteggerli. Ciò generò un’escalation di conflittualità che, allo scadere del 1000, dette vita a una spedizione, la prima di una lunga serie che, secoli dopo, dalla croce che i cavalieri portavano cucita sulle vesti e dipinta sugli scudi, gli storici avrebbero definito crociate”.
Narcisa Fargnoli, Vetera segreta, Betti, Siena 2020
a cura di Francesco Ricci