Ci sono fotografie che consentono di ritrovare la verità e fotografie che permettono di scoprirla. Le prime sono quelle legate alla nostra persona e ai nostri cari: quel bambino col grembiule nero sono stato veramente io, quella donna vestita di bianco che sorride felice è stata veramente mia madre.
Le seconde, invece, sono quelle che hanno arrestato e fissato frammenti di tempo di chi molte volte neppure conosciamo. Come la vecchia fotografia in bianco e nero, scattata a Siena in epoca fascista, che Nicola Marini rinviene in una uggiosa domenica lungo le scale in mattoni che conducono alla cantina della propria abitazione. Vi sono rappresentati alcuni uomini in divisa (trentuno) e altri senza divisa (undici), alcuni con una pistola al fianco (sette) e altri armati di moschetto (sedici). Nasce così in lui il desiderio di sapere chi siano quegli uomini e, insieme, quello di far luce sull’omicidio di un diciassettenne, Walter Cimino, ucciso nella città del Palio a non molta distanza dal periodo in cui venne scattata la fotografia e che aveva avuto il viso “cancellato con una grattugia”.
Con lo scrupolo di uno storico (ragguardevole la mole dei documenti consultati e che corredano il volume) e con l’abilità di un consumato giallista, in “Una foto del delitto” Nicola Marini, a settant’anni dall’efferato crimine, racconta le tappe dell’inchiesta da lui condotta al fine di individuare i colpevoli. Nonostante gli anni trascorsi, le reticenze, le coperture, poco alla volta il cerchio si stringe attorno a loro: mandanti e sicari finalmente hanno un nome e la verità di quel delitto appare ben diversa da quella propagandata dalla “vulgata”. Nessuno degli indagati è più in vita, ma Walter Cimino alla fine del romanzo è restituito pienamente al novero delle vittime, e non dei complici, di una Storia violenta e ingiusta. Il passo che segue costituisce l’inizio del romanzo.
“Il fatto inequivocabile e per alcuni miracoloso fu che dentro la città di Siena non sia mai accaduto niente di simile a una rivolta o ad una insurrezione: e questo rese tutto più semplice, forse meno eroico, certo più sicuro e vitale per tutti. Pochissimi (per fortuna) i fascisti isolati e uccisi (pare da non senesi) nei giorni immediatamente precedenti il 3 luglio e quindi con “azioni di guerra” non punibili giuridicamente, e più da compiangere rimane quel giovane volontario della RSI sembra tornato indietro per salutare la sua fidanzatina”. In un noioso giorno del febbraio 2011, come si fa sempre quando il tempo è grigio, freddo, piovoso, e non invoglia in alcun modo ad uscire, guardavo fuori dalla finestra e vedevo le chiome dei cipressi piegarsi sotto un vento non forte ma che accompagnato alla pioggia faceva l’effetto di un temporale. La campagna può anche piacere così bagnata e percorsa da rivoli d’acqua, francamente la preferisco con un sole splendente ed un verde rigoglioso. Mi girai e ritenni che era ora di sistemare alcune cose nella lavanderia. Era da molto tempo che dovevo farlo e tra il dover scegliere se guardare in televisioni programmi dello stesso grigiore del tempo o fare qualche lavoretto utile per l’ordine della casa, decisi per questi ultimi. Mi diressi verso la porta che conduceva al piano seminterrato, accesi la luce e scesi in un’atmosfera che mi era sempre piaciuta per il giallo delle pareti illuminate da una lampadina a incandescenza che emanava un giusto pallore sull’ambiente. Lungo le scale in mattoni che conducono alla cantina rividi per l’ennesima volta una vecchia foto arrotolata, mi fermai, sapevo che rappresentava un gruppo di militari ritratti insieme ad altre persone in borghese e che risaliva sicuramente agli anni ’30-‘40”.
A cura di Francesco Ricci