“Non tutto è da buttare”, il nuovo libro di Silvia Roncucci

Non tutto è da buttare

Sarà perché noi uomini dell’Occidente siamo alla lettera gli abitanti della “Terra del tramonto”, gli abitanti della “Terra della sera” (in tedesco “Abendland”). Sarà perché le nostre radici culturali affondano nella letteratura greca, la quale è fortemente segnata dal pessimismo, dal tragico, dall’inquietante, come Emanuele Severino a più riprese ha sottolineato nei suoi lavori: “La cose escono dal nulla e vanno nel nulla. Questo è l’orrore. La nascita e la morte si tingono di una luce mai apparsa prima dei Greci”. Sarà, infine, perché lo scrivere molte volte è semplicemente il tentativo di arginare e di controllare un dolore che altrimenti, se lasciato libero, finirebbe col sopraffarci, coll’ucciderci. Certo è che buona parte dei libri che sono stati scritti in questa parte di mondo ¬ poemi, liriche, racconti, romanzi, testi teatrali ¬ appaiono intrisi di sofferenza, di disperazione, di rassegnazione, quasi che l’ombra cupa proiettata dalla cerimonia funebre in onore di Ettore, che chiude l’Iliade, vale a dire il primo monumento letterario occidentale, non abbia mai smesso di posarsi su di noi, su ciò che siamo, su ciò che facciamo. Siamo veramente abitanti della “Terra del tramonto”, siamo per davvero abitanti della “Terra della sera”. E’ anche per questo motivo che si fa leggere con piacere l’ultimo lavoro di Silvia Roncucci, il quale già nel titolo, “Non tutto è da buttare”, suggerisce un tono differente, più leggero, più vario, che non tace la bellezza e i colori di cui è tramata l’esistenza terrena. La protagonista del romanzo, Giulia, infatti, nonostante le delusioni e i colpi della sorte, non rinuncia a guardare anche alle esperienze negative fatte come a pietre miliari lungo il faticoso cammino della vita, che ci sorprende restituendoci ciò che ci ha precedentemente tolto. Il passo che segue è la descrizione di una Giornata di Studi alla quale partecipa anche Giulia, dottoranda preso l’Ateneo bolognese, quando nutre ancora fiducia nella possibilità di fare una brillante carriera universitaria:

“Dopo circa un’ora e tre quarti di mescolanze, quasi a casaccio, di termini in tutte le lingue, vive o morte, note e non, in modo da dare l’impressione di aver composto una brillante orazione sgorgata da studi approfonditi (e soprattutto reali), l’emerito prof. Mercuri, luciferino e illustrissimo ordinario presso la Federico II di Napoli di filosofia del diritto – la branca forse linguisticamente più bislacca di un campo già di per sé di difficile comprensione alle umane cervella – aveva fatto sballare completamente tutto il programma del convegno. Che prevedeva, appunto, interventi entro e non oltre la mezz’ora, e soprattutto entro e non oltre la capacità di sopportazione del pubblico stremato come al trentacinquesimo chilometro di una maratona, ma stoicamente pronto a raggiungere l’ambito traguardo. Nel nostro caso il rinfreschino della pausa di mezza mattinata. Quelli per la preparazione del congresso erano stati mesi di lavoro tanto incessante quanto inaspettatamente e piacevolmente divertente. Ammetto che adoravo pianificare, tener finalmente in mano le redini della situazione, e che ero divenuta piuttosto brava a organizzare viaggi, prenotare alberghi, litigare con gli autisti, rispondere cortesemente alle richieste bislacche dei professoroni a conclave, fingere un sorriso quando ero stremata. Rispolverai il mio inglese, che avevo abbandonato per la causa del diritto femminile, e riesumai quel poco francese che avevo appreso alle scuole medie”.

Silvia Roncucci, Non tutto è da buttare, Varese, 0111 edizioni, 2013

 

a cura di Francesco Ricci