Fiction & Libri

Paolo Ciampi, Il babbo di Pinocchio

Non è facile parlare dell’ultimo romanzo di Paolo Ciampi, intitolato “Il babbo di Pinocchio” e pubblicato da Arkadia. È un libro così bello che temo che ogni riflessione e giudizio critico non siano in grado di dare conto della ricchezza che esso, come pietra preziosa in uno scrigno, racchiude. Ricchezza di scrittura, in primo luogo, originata dall’ampiezza del vocabolario che l’autore possiede, dalla naturalezza dei passaggi dalle parti affidate al narratore interno a quelle dialogate e a quelle squisitamente descrittive, dall’alternarsi di un ritmo veloce, che bene esprime la frenesia della vita odierna, a un ritmo lento e disteso, che suggerisce un altro modo – per sempre perduto – di vivere il tempo e abitare il mondo.  Ricchezza di sguardo, che ora si posa su Firenze, specie sul centro di Firenze, restituendone frammenti visivi, suoni, odori, squarci di cielo e porzioni di fiume e atmosfere, soprattutto atmosfere, ora, invece, operando un ribaltamento di focalizzazione, affonda nella soggettività dei due protagonisti: il suolo e il sottosuolo, dunque, la realtà fenomenica e la realtà più intima. Una ricchezza, ancora, di sensibilità storica, non riesco a trovare un’espressione diversa, vale a dire la capacità da parte di Paolo Ciampi di calarsi e di “sentire” l’epoca odierna, nella quale la vicenda è ambientata, e, al contempo, di calarsi e di “sentire” un’epoca distante, il XIX secolo, che ritorna attraverso i frequenti quadri e recuperi memoriali.

La voce narrante, infatti, è quella di un fiorentino, di professione giornalista, dei nostri giorni, mentre l’altro protagonista, suo compagno nel corso di un indimenticabile e magico vagabondaggio notturno, è uno scrittore e giornalista, anch’egli fiorentino, nato nel 1826 in via Taddea – babbo cuoco, madre sarta e cameriera – e morto nel 1890 forse a causa di un aneurisma. Il suo nome è Carlo Lorenzini, l’autore delle “Avventure di Pinocchio” (1883), da tutti conosciuto e ricordato come Collodi. Poco alla volta, nel giorno di San Lorenzo, giorno di festa, di confusione e di sudore,  due uomini, entrambi di mezza età, si conoscono, si riconoscono, si raccontano e giungono a capire che il tessuto dell’esistenza degli scrittori (ma non vale forse lo stesso per tutti gli uomini?) è sempre un tessuto misto, il successo, anche quello più grande, nasconde sofferenze e delusioni, la notorietà cela spesso un’assenza immedicabile (ad esempio, quella di un genitore o di un figlio), e i conti, quando tornano, tornano sempre e solo sulla pagina scritta, mai nella vita vissuta. Il passo che segue è tratto dall’inizio del libro.         

“Che poi non è che certe cose capitano per caso. Un po’ siamo noi a farle capitare, un po’ è questa città, che pare non aspetti altro di fregarci. Distrae e mette le mani nelle tasche, Firenze. Accoglie con la sua bellezza e quindi gira le spalle. Mai fidarsi soprattutto del suo cielo, quando è troppo azzurro. È come la festa dove si beve troppo, minimo ci si risveglia con il cerchio alla testa; e lo sai, me ne intendo. Però quella sera non avevo bevuto. Scuoti pure la testa, è così. Se proprio, solo una birra veloce in piazza del Duomo. Appena uscito dalla redazione, al termine di una giornata di caldo come solo a Firenze o forse a Marrakech. Il sole implacabile, le pietre da cuocerci sopra e mai una bava di vento. In tre sorsi avevo visto il fondo del boccale. Giusto per riprendermi. Si fa lo stesso con una pianta appassita, un secchio di acqua per ridare vita. Mi ero staccato dal banco delle spine per rituffarmi nella piazza. Fuori i turisti erano ancora in fila per la cupola del Brunelleschi, cosce nude, facce come peperoni, magliette zuppe di sudore. Stupefacente propensione al masochismo. Intorno a loro nugoli di venditori di aste per selfie, guide con voci amplificate, vigili urbani annoiati, collezionisti di scatti a uso e consumo dei profili Facebook. All’angolo con via Ricasoli una violinista stava cimentandosi con le “Quattro Stagioni” di Vivaldi, il suo CD in vendita che nessuno degnava. Le avevo lasciato un euro, mi ero portato via qualcosa della sua tristezza”

Paolo Ciampi, Il babbo di Pinocchio, Arkadia, Cagliari 2023

a cura di Francesco Ricci

Francesco Laezza

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