“Achille Sclavo. Una biografia familiare” è un titolo che getta luce fin da subito sia su colui che racconta sia su colui che viene raccontato. Chi racconta è uno di famiglia, uno della famiglia, chi è raccontato è colto prima di tutto nella sua dimensione umana. Non compare, infatti, accanto al nome, nessun riferimento alla professione, nessun riferimento all’ambito di competenza. Chi racconta è Paolo Neri, figlio di Dario e di Matilde Sclavo, chi è raccontato è Achille Sclavo, che un sondaggio tenuto qualche anno fa nella città del Palio ha eletto a Senese del XX secolo. Nato ad Alessandria il 23 marzo 1861 e morto a Genova il 2 giugno 1930, Achille Sclavo ha legato la sua attività di medico, di docente, di rettore, di ricercatore, alla nostra città. La preparazione del siero contro il carbonchio, la fondazione nel 1904 dell’Istituto Sclavo insieme al professor Ivo Banti, suo collega universitario, la campagna contro la malaria in Sardegna (1910-1912) e contro il colera in Puglia (1911), la lotta alla tubercolosi, prima di costituire altrettanti capitoli del libro “Achille Sclavo. Una biografia familiare”, rappresentano le tappe fondamentali di un’esistenza, nella quale il contributo alla ricerca medica non appare mai separato dalla possibile ricaduta dei benefici su una porzione di popolazione che viene auspicata essere la più ampia possibile.
Una preziosa testimonianza in tal senso ci viene offerta dalla relazione che Achille Sclavo lesse al Congresso nazionale per la lotta sociale contro la tubercolosi, tenutosi a Firenze nel 1909. In essa, infatti, lo scienziato insiste con forza sulla necessità di estendere l’accoglienza e la cura nei sanatori, riservate inizialmente soltanto alle classi abbienti, anche alle classi popolari. E per contenere i costi che comporta la costruzione di queste istituzioni in alta montagna, spesso in regioni impervie e lontane dai grandi centri, con realismo e pragmatismo sottolinea che più dell’altitudine sono decisivi “i comodi dell’abitazione” (grandi refettori, sale di conversazione, saloni per intrattenimenti musicali) e la cornice paesaggistica (“Una splendida giornata di sole e un bel panorama, quali è facile godere in molte campagne, valgono a vivificare lo spirito non meno, io credo, di cui l’arte può arricchire un Sanatorio”). Sono proprio questa avversione per il superfluo e per la vanità di ciò che è mera ostentazione, assieme all’odio per la superbia e la viltà, a costituire le costanti del carattere dell’uomo Sclavo, e in questi principi morali, osserva giustamente Paolo Neri, oltre che nell’idea della scienza come servizio reso alla comunità, risiede la sua eredità più viva e autentica. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale (“Le origini della famiglia”), che ci conduce in uno spazio e in un tempo che la distanza rende remoti e affascinanti. Corredano il volume suggestive fotografie.
“Le torri da cui vaporano ancora le reminiscenze dei primi protagonisti di questa storia sono quelle di un piccolo borgo, arroccato intorno ad un castello della valle del Tanaro: Lesegno, dall’evocativa etimologia ‘Lux ignis’. Terra, un tempo, del marchesato di Ceva, Lesegno ebbe parte nelle vicende di quel lembo d’Italia che, da mezzogiorno, sente il richiamo del mare tracimare dalle colline boscose in rapida ascesa verso gli ultimi contrafforti delle Alpi liguri: mentre, a ponente, il Tanaro (placato il tormento delle valli) si distende verso l’abbraccio col padre Po che scorre ai piedi delle Alpi ammantate di neve. Oltre s’indovina la Francia. Terra, dunque, di transiti, di pascoli, e di castagne, più che di messi o di vigne, di agricoltura di sussistenza ricavata da fazzoletti di terra o da porzioni di prato. Ed anche scenario di liti feudali per il possesso, tanto di un molino o di un forno, quanto di una rocca per sorvegliare, ai passi e ai guadi, i traffici dei mercanti o l’avanzata degli eserciti”
Paolo Neri, Achille Sclavo. Una biografia familiare, nuova immagine, Siena 2021
a cura di Francesco Ricci
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