A Firenze il prestigioso premio letterario Rive Gauche è andato a Pier Paolo, un figlio, un fratello (Nuova Immagine Edizioni). Un libro che nasce a Siena, l’autore, infatti, è Francesco Ricci, docente del Liceo classico “E.S. Piccolomini”. Con quale motivazione, professor Francesco Ricci, la giuria le ha conferito questo importante riconoscimento?
I giurati, a partire dal suo presidente, Maria Rosaria Perilli, hanno molto apprezzato la capacità di immedesimazione nel personaggio del giovane Pasolini e il tipo di scrittura, che hanno accostato, riporto le parole contenute nella motivazione del premio, a “una musica struggente e dolorosa, mai sentita prima”.
Di cosa parla questo libro?
Al centro del libro vi sono gli anni friulani di Pasolini, anteriori, cioè, alla sua partenza per Roma, assieme alla madre Susanna, il 28 gennaio del 1950. Ho cercato di ricostruire, basandomi sull’opera in prosa e in versi dell’artista bolognese, il rapporto che intrattenne con la madre e col fratello Guido, più giovane di tre anni, che venne ucciso – lui che militava tra i partigiani della Brigata Osoppo – dai partigiani comunisti nel febbraio del 1945. Inoltre, ho voluto lumeggiare la progressiva scoperta della propria omosessualità, la sua immersione in un Friuli avvertito come mondo innocente e primigenio, il precoce amore per la pittura e per la letteratura.
Pier Paolo, un figlio, un fratello è da due anni in libreria, una bravissima attrice friulana, Alessandra Culos, ne ha ricavato una pièce che a breve andrà in scena, alcuni editori francesi hanno mostrato interesse per approntare una traduzione del libro per il pubblico d’Oltralpe. Perché, secondo lei, piace tanto questo libro?
Non è mai facile parlare della propria opera. Credo, però, di essere riuscito a dare voce a certi sentimenti inespressi di Pasolini, in particolare al senso di colpa, di cui mai si liberò completamente, per avere lasciato partire il fratello Guido per le montagne e per la guerra di Resistenza, provocandone così, indirettamente, la morte. Inoltre, ho messo in luce, all’interno di un romanzo e non di un saggio, anche la vocazione pedagogica di Pasolini (la “pedagogia apedagogica” di cui parlò per primo Andrea Zanzotto), che fu un bravissimo insegnante di scuola media, a Valvasone. Una vocazione, questa, di cui, fino ad oggi, era possibile rinvenire traccia solamente o in Atti di Convegno o in testi specialistici.
A distanza di quarantatré anni dalla sua morte, Pasolini rimane uno scrittore molto amato, citato, ripreso. Su Rai Cultura, ad esempio, al sabato, in prima serata, stanno trasmettendo tre spettacoli a lui dedicati (il primo, Una giovinezza enormemente giovane, è andato in onda il 20 ottobre). Lei, professore, come si spiega questo interesso così vivo per Pasolini?
Credo che Pasolini, al di là del suo immenso talento artistico (di lui io amo, in particolare, le poesie e il cinema), abbia svolto la funzione di intellettuale, e mi assumo intera la responsabilità di quanto sto affermando, molto meglio e molto più di Italo Calvino e di Franco Fortini. Lo studiato e pacato equilibrio del primo, che è anche equilibrio emotivo, la voluta scrittura difficile del secondo, alla lunga hanno loro nuociuto. E così degli ultimi tre intellettuali degni di questo nome che l’Italia ha avuto, resta solamente Pasolini. Con la sua passione, la sua intelligenza, la sua intuizione profetica, il suo desiderio di farsi capire, il suo coraggio. Mai asservito alla logica di mercato. Mai incantato dalle luci di uno sviluppo senza autentico progresso. Mai organico a nessun partito. Splendidamente libero, inguaribilmente corsaro.
Pier Paolo, un figlio, un fratello (nuova immagine editrice, Siena 2016)
di Katiuscia Vaselli