La poesia barocca prima, novecentesca poi, hanno allargato a dismisura l’area del poetabile: tutto può entrare a far parte di un verso, tutto merita di ricevere accoglienza in un verso, talvolta anche con intenti ironici o parodici. Non solo, ma anche la distinzione tra poesia e prosa si è fatta labile, complice la riduzione della metrica a una sorta di “grado zero”, vale a dire a un semplice “andare a capo”. Sotto questo aspetto risultano emblematiche due raccolte pubblicate nel 1971: “Satura” di Eugenio Montale e “Trasumanar e organizzar” di Pier Paolo Pasolini. Ricchezza tematica – o, ancor meglio, situazionale – e cadenze prosastiche – solo in parte occultate dal continuo spezzettamento del verso anche in unità minime composte da una sola parola – sono due dei principali tratti distintivi dell’opera poetica di Pino Cito, ora raccolta in volume (“Emozioni e parole”, Effigi).
Sia che l’attenzione cada sulla realtà esterna al soggetto, sia che essa si rivolga alla dimensione interiore di quest’ultimo, in ogni caso al centro vi è sempre l’io lirico, che osserva, sente, registra, afferra, reagisce a ciò che avviene dentro e fuori di sé. Una presenza, questa dell’io lirico, discreta e conciliante nei giudizi (non, però, quando si tratta di colpire la viltà e l’ipocrisia delle persone), ma marcata a livello di costruzione del testo, come rivelano anche alcuni “incipit” (Sotto un cielo / plumbeo e minaccioso / odo scrosciare la pioggia…”, “Sento / l’allegro vociare / di bimbi / giocosi”, “Odio il grigio”, “Ammiro oggi / la tua bellezza”, “Odo / gli stessi ciarlatani di ieri”, “Non odo / lo schiamazzo dei bimbi”) e il largo impiego del pronome e dell’aggettivo possessivo di prima persona singolare (“Le parole / dette da te / mi regalano la tenerezza / di una sincera amante”, “Mi rivedo giovane studente”, “Le mie piccole ospiti / si divertono in piscina”, “Mi mancano / le tue coccole”).
Il placido avvicendarsi delle stagioni, le memorie della giovinezza, la famiglia, la professione di medico e l’incontro con i malati e i sofferenti, l’incanto dell’amore e dell’amicizia, le contraddizioni sociali, il mondo della politica irrimediabilmente lontana dai bisogni delle persone, la bellezza di Siena e delle sue campagne, il linguaggio del silenzio, l’enigma e, al contempo, la semplicità della Bellezza: sono tutti temi, tutte occasioni, che, nel loro tradursi in poesia, finiscono col parlare di un’esperienza di vita, quella di Pino Cito, nella quale il lettore rinviene episodi, emozioni, sentimenti che riconosce anche come propri. Nella lirica che segue, intitolata “Sento” (“sentire” e “vedere” sono i due verbi che ricorrono con maggiore frequenza nella raccolta, a conferma della presenza in profondità di suggestioni e di echi pascoliani), i sensi del poeta, sempre desti, colgono nelle voci proveniente dalla strada un segno del mutamento intervenuto nella nostra città, che, però, anziché tradursi in un moto di fastidio o di nostalgia, apre il cuore alla speranza di una maggiore integrazione razziale e di una migliore convivenza fra gli uomini.
Sento
l’allegro vociare
di bimbi
giocosi,
tanti
come non mai.
Ritornano
alla mente
tempi lontani
della mia infanzia,
immagini
sbiadite dal tempo…
Troppo a lungo
la via
è stata riservata
a passanti
estranei e frettolosi.
Turisti in carovana.
Nuovi residenti,
nuovi negozi,
altra gente,
nuovi figli,
molti bambini
parlanti italiano,
che si chiamano Abdul, Mohammed,
Amyra, Tamer…
che festanti
ci vengono incontro
c ti salutano…
E il cuore gioisce
per la nuova ricchezza
che il tempo
sa offrire
all’Uomo cosmopolita.
Pino Cito. Emozioni e parole, Effigi, Arcidosso, 2017
a cura di Francesco Ricci