Ci sono cose nella vita che, solamente una volta che le abbiamo perdute, riusciamo ad apprezzare fino in fondo. Finché le possediamo, finché fanno parte della nostra quotidianità, non riescono ad emanare del tutto la loro luce o, forse, siamo noi che non riusciamo a coglierla.
Penso all’amore. Penso all’amicizia. Penso alla pace. Ecco, un libro come “Attenti a dove sparate” di Riccardo Bardotti costituisce, a mio avviso, una conferma di questa segreta legge dell’esistenza, la quale intima che la perdita e la consapevolezza vadano considerate alla stregua di tratti della stessa curva. E tale “memento” è affidato non tanto alla forza della parola, quanto dell’immagine. “Attenti a dove sparate”, infatti, riunisce le fotografie che furono scattate dai reporter del corpo di spedizione francese in Italia nel luglio del 1944, quando Siena venne liberata dagli uomini di de Monsabert e l’ultimo presidio tedesco – il 3 di quello stesso mese – lasciò la città del Palio, uscendo da Porta Camollia. Sono scatti che, nel loro complesso, non intendono cogliere e fissare alcuni momenti dell’azione militare, come fanno, invece, fotografi grandissimi quali furono Robert Capa e Philip Stern.
Nelle fotografie scattate dai reporter francesi, piuttosto, è la pace ritrovata – le strade festanti, la folla riunita, le bandiere, i sorrisi delle donne – a occupare intera la scena. È questa la pace. La pace intesa non semplicemente come negazione della guerra e dello scontro armato, ma anche come serenità, come benessere interiore, come quella condizione psicologica, cioè, grazie alla quale è possibile affrontare la quotidianità con le sue fatiche, le sue delusioni, i suoi insuccessi, le sue gratificazioni, le sue piccole gioie, i suoi piaceri.
Ecco, la pace ritrovata assume in questi bellissimi scatti la sembianza di un popolo, il popolo senese, che ritorna alle esiodee “Opere e giorni” con l’entusiasmo e il sollievo di chi sa che è finito il tempo dell’essere braccati, dell’essere fuggitivi, dell’essere stranieri nella propria terra: mai come nel corso degli allarmi notturni, dei rastrellamenti, delle esecuzioni sommarie, la bellezza della pace si mostrata in tutto il suo inestimabile valore. Il passo che segue è tratto dalla prefazione di Gabriele Maccianti, che inquadra con grande chiarezza il contesto storico e l’occasione che sono alla base del materiale fotografico raccolto in volume.
“Ufficiali. Mezzi meccanici. Campagne assolate. La magia della Piazza del Campo. Foto di formidabile bellezza, nelle quali però è quasi assente il fardello orrendo della guerra: le distruzioni, i corpi decomposti dal caldo, l’eco, sia pure da lontano, dei combattimenti. Il fotoreporter autore di questo splendido reportage vuol infatti trasmettere l’idea di una marcia vittoriosa, scandita dalla competenza e dalla sicurezza con cui gli ufficiali scrutano il fronte con i loro strumenti ottici, consultano le mappe, seguono le operazioni a bordo delle loro jeep. Anche i militari di truppa, in parte metropolitani, in parte arabo-africani, sono ritratti mentre avanzano o comunque sorridenti. La fatica della guerra è del tutto assente. Gli unici veri nemici sembrano essere il gran caldo – testimoniato dai ricordi di chi visse quei giorni – che si percepisce dalla luce abbacinante del sole, e le disastrate vie di comunicazione, i cui ponti sono stati metodicamente distrutti dai genieri della Wehrmacht”.
a cura di Francesco Ricci