A incorniciare “Sonetti cartaginesi”, l’ultimo libro di Riccardo Benucci, aprendolo e chiudendolo, vi sono due testi significativamente intitolati “Ritorno all’amato rione” e “Tornerà giugno”. Essi sono esemplari non solamente della maniera di fare poesia da parte dell’autore – che privilegia la chiarezza espressiva, fa un uso parco dell’inversione e dell’iperbato, ricorre di frequente alle figure di suono, impiega un lessico in costante equilibrio tra “familiare letterario” e “familiare quotidiano” –, ma anche del tema, pressoché esclusivo, che si accampa al centro della raccolta: il ritorno. Né ciò sorprende, tenuto conto che il volume raccoglie poesie che sono state scritte dopoché Riccardo Benucci, nell’agosto 2018, è tornato ad abitare in Via San Martino, nella contrada della Torre, dopo un’assenza di circa venticinque anni.
Ed è proprio suddetto ritorno, finalmente fisico e non più unicamente memoriale, a suscitare riflessioni e a generare emozioni che, dopo essere state lasciate a decantare, si fanno canto, verso, strofa. Lo spettacolo del rione che si offre all’io senziente e pensante è uno spettacolo di cambiamento. Piazze, slarghi, vie, vicoli, edifici pubblici, sono e non sono più gli stessi: il trascorrere del tempo li ha rimodellati. Le insegne dei negozi sono cambiate, alcuni fondi sono sfitti, qualche profilo di abitazione pare nuovo, il senso di marcia della circolazione stradale appare invertito: a conferma che non solo il volto della grande città o della metropoli, ma anche quella di un piccolo quartiere o di un borgo muta rapidamente. Eppure, la luce in certe ore del giorno non è cambiata, il rintocco delle campane è quello solito, le traiettorie disegnate in cielo dalle rondini risultano familiari e consuete, segno che qualcosa resta, nonostante il divenire, che qualcosa permane identico a se stesso, nonostante il perenne vanire e svanire di cose, case, persone. Una ripetizione dell’uguale che è illusoria, dal momento che né la luce né il suono né le rondini sono gli stessi di venticinque anni, di quaranta anni fa. Ma è un’illusione che aiuta ad andare avanti, ad aprirsi al domani con la fiducia e la serenità di chi ha imparato che i rami e le foglie e i frutti possono anche cadere, e certamente cadono, ma le radici che affondano nel terreno non si estirpano né si perdono mai del tutto. La poesia che segue è il sonetto “Ritorno all’amato rione”, che apre il volume, ad arricchire il quale concorre l’illuminante Introduzione di Alessandro Fo.
Ritorno nel rione tanto amato
col cuore che trabocca d’emozioni:
di tempo da quei giorni n’è passato,
quand’ero un citto pieno d’illusioni.
Ritorno procedendo un po’ felpato,
captando, incuriosito, odori e suoni
delle strade che un giorno mi han formato,
quanti ricordi, oltre quei portoni.
È come se ogni pietra m’abbracciasse,
dal Rialto ricevo una carezza
e Salicotto, quasi mi cercasse,
ravviva la mia età con nuova brezza.
È così che mi sento ragazzino,
posando la valigia in San Martino
Riccardo Benucci, Sonetti cartaginesi, Betti, Siena 2023
a cura di Francesco Ricci
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