Quando si fa storia della letteratura o della pittura o della musica, alcune storie meritano l’attributo di brevi perché altro non sono che compendi e sintesi di poetiche, idee, movimenti, testi che si distribuiscono in un arco temporale solitamente molto ampio. Tra i numerosi esempi che è possibile fare, ricordo la “Breve storia della letteratura italiana dalle origini ad oggi” di Giorgio De Rienzo e quella, recante lo stesso titolo, di Luca Tognaccini. Altre storie, invece, sono dette brevi perché il tema indagato, data la sua origine recente, finisce con l’interessare una porzione di tempo ancora limitata. È il caso di “Breve storia dell’amnesia. Un viaggio a ritroso nell’immaginario contemporaneo”, scritto da Riccardo Castellana, professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università di Siena. A venire indagato, come suggerisce già il titolo, è il tema dell’anamnesi – la perdita improvvisa, spesso a seguito di un forte choc, della capacità di ricordare il passato individuale o collettivo –, che nasce dopo la Grande guerra, inizialmente nel dramma teatrale, con Giraudoux, Pirandello, Anouilh, per poi estendersi, a partire dagli anni Quaranta, anche alla narrativa di genere e al cinema. Tale origine novecentesca si può spiegare alla luce di diversi fattori. Da un lato, i numerosi casi di “shell shock” (shock da bombardamento, trauma da scoppio, nevrosi da guerra) registrati tra i soldati che presero parte al primo conflitto mondiale, dall’altro, l’attenzione che sia la scienza medica sia la stampa dedicano a tale fenomeno determinano un aumento di interesse (e di curiosità) anche da parte degli scrittori e degli artisti. Il risultato finale è che una folla di amnesici e di amnesiche prende a popolare le pagine di opere destinate alla messa in scena e alla lettura.
Certo, si potrebbe obiettare che in realtà la letteratura, dall’epos omerico al romanzo cavalleresco rinascimentale, offriva significativi esempi di personaggi senza memoria. Basti pensare ai compagni di Ulisse che mangiano il dolce frutto del loto nel X libro dell’“Odissea” o al paladino Orlando che beve dalla coppa di Dragontina nel primo libro dell’“Orlando innamorato” di Matteo Maria Boiardo. Ma con questi due celebri episodi della Letteratura occidentale, e Riccardo Castellana lo chiarisce benissimo, il lettore si trova in presenza non già del “mythos” dell’anamnesi, bensì del topos, questo sì antichissimo, dell’oblio. La differenza, anche a livello fenomenologico, non è di poco conto. Infatti, mentre l’anamnesi, come già abbiamo avuto modo di dire, è la perdita della capacità di ricordare, cui s’accompagna una menomazione della propria identità (personale e sociale), l’oblio è una sorta di sospensione e scomparsa momentanea della memoria, che non comporta la perdita definitiva di una parte di sé e del proprio io: i compagni di Ulisse e Orlando, finito, rispettivamente, l’effetto della droga e rotto l’incantesimo di Dragontina (a farlo è Angelica), riacquistano i dati della loro coscienza e tornano padroni della loro volontà. Naturalmente, essendo “Breve storia dell’amnesia” una ricognizione, agile e informatissima al contempo, condotta sull’opera di finzione e non un trattato medico e scientifico (anche se non mancano i riferimenti alla psichiatria), il lettore deve tenere sempre ben presente che i film, le novelle, i romanzi, i testi teatrali indagati con perizia dall’autore non sono scelti sulla base della loro fedeltà a quella che è a tutti gli effetti una patologia della memoria, ma in quanto elementi che, ciascuno a modo suo, concorrono a definire e illuminare un “mythos” – quello dell’anamnesi – che è anche una potente e affascinante allegoria della crisi dell’identità e dell’esperienza dell’uomo contemporaneo. Il passo che segue è tratto dall’introduzione. Il libro sarà presentato mercoledì 18 dicembre, alle ore 17.30, nella Sala storica della Biblioteca comunale di via della Sapienza.
“Qualcuno perde la memoria: di punto in bianco, dopo un forte choc. Da questa situazione di partenza molto semplice, vista tante volte nei film o a teatro e letta tante volte nei libri, si sviluppa poi un organismo complesso, una storia simile a un’indagine poliziesca, a un giallo o a un romanzo giudiziario: lo smemorato cercherà di capire chi è (se con la memoria ha smarrito anche l’identità) o almeno cos’ha fatto nell’arco temporale dei giorni, mesi o addirittura anni di cui non ha più ricordi. L’inchiesta potrà poi concludersi con successo, oppure dovrà essere archiviata per insufficienze di prove. Qualunque ne siano l’esito e le cause, però, la struttura narrativa di base si manterrà sempre, grosso modo, identica a sé stessa, tanto che non sembra azzardato parlare di qualcosa di più che un semplice tema o motivo ricorrente, ma di un vero e proprio “mito”; intendendo con questa parola un racconto (“mythos”), o meglio ancora lo scheletro, l’ossatura fondamentale di un racconto, rintracciabile, a una lettura attenta, in testi anche molto diversi tra loro, proprio come quei “mythoi” che la critica archetipica di Northrop Frye vedeva alla radice dei generi letterari. Con una differenza sostanziale, però: il “mythos” di cui parleremo noi non appartiene alle origini lontane di un oscuro passato come i miti cosmogonici greci, non è la “rivelazione” di qualcosa di sacro perché si situa fuori del tempo (come scriveva Cesare Pavese), per la semplice ragione che, prima del Moderno, questo tipo di racconto non esisteva. Se infatti gli antichi conoscevano bene il topos dell’oblio, il “mythos” dell’amnesia appartiene invece al Novecento e alle sue propaggini nel nostro millennio. È per questo che la storia dell’amnesia è una storia breve. Eroi ed eroine senza memoria, come vedremo, trovano ospitalità nell’immaginario narrativo occidentale solo a partire dal periodo compreso tra le due guerre mondiali, inizialmente soprattutto nel dramma teatrale”.
Riccardo Castellana, Breve storia dell’amnesia, Mondadori Education, Milano 2024
a cura di Francesco Ricci