Tanto sul piano tematico quanto dal punto di vista della struttura e dello stile, l’opera in prosa (romanzi e racconti) di Riccardo Gambelli si presenta sotto il segno della coerenza. Gettando, infatti, uno sguardo d’insieme su “Ali per vivere” (2009), “Il lisiantus bianco” (2012), “Due storie per un cammino” (2015), e, ora, “Seme lontano” (2018), a me pare di poter dire che uno è il tema di fondo – quasi il rovello – della produzione dello scrittore senese, una è la maniera di raccontare. E se quest’ultima può riassumersi in un tradizionalismo formale che accorda rilievo alla linearità nella costruzione dell’intreccio, alla collocazione della vicenda in uno spazio ben determinato e ben delineato, alla caratterizzazione dei personaggi attraverso successive pennellate, alla misura nell’impiego dei dialoghi, più complesso, invece, appare il discorso relativo a quello che è il motivo centrale dell’opera di Gambelli.
Infatti, sebbene le vicende narrate possano oscillare tra l’invenzione e la fedeltà alla cronaca, tra l’attenzione alla sfera privata, talora intima, dell’esistenza e quella pubblica, tuttavia sul piano tematico al centro incontriamo sempre il viaggio. Ora, questo viaggio può assumere un duplice aspetto, reale e metaforico. I personaggi dei racconti e dei romanzi di Gambelli, infatti, viaggiano, viaggiano molto, percorrono lunghe distanze, partono e fanno ritorno (viaggio reale).
Non solo, ma trattandosi spesso anche di adolescenti e di giovani, il loro andare per il mondo adombra un percorso di ricerca e di individuazione del sé più autentico (e dunque di formazione), che si compie nelle profondità della propria anima (viaggio metaforico). Questi due itinerari – quello che conduce lontano, quello che conduce all’interno – non si pongono affatto in contrasto, ma si sostengono e si completano a vicenda. Ciò è particolarmente evidente nell’ultimo romanzo “Il seme lontano”, edito da Cantagalli, e che verrà presentato domani, sabato 19 gennaio, alle ore 17.30, nella Sala delle Lupe di Palazzo Pubblico.
Il protagonista, infatti, il diciassettenne Elia, parte insieme al suo maestro di karate, Ettore, per il Brasile, spinto dal desiderio di conoscere i suoi genitori biologici. Solamente dopo quel viaggio il giovane riesce a fare chiarezza tanto nei propri sentimenti (verso la famiglia originaria, verso la famiglia adottiva, verso una sua compagna di classe) quanto nei progetti che intende portare avanti.
D’altra parte, quello stesso viaggio risulta fondamentale anche per Ettore, in quanto gli consente di cogliere le insufficienze, le insoddisfazioni, le zone d’ombra di una vita, la sua, che ormai, al pari di un sole lontano, illumina senza scaldare. Ma senza il calore di un significato e di uno scopo – questa è il messaggio del “Seme lontano” – ogni esistenza, a venti come a quaranta come a sessant’anni, si riduce a un montaliano “scialo / di triti fatti, vano / più che crudele”. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale del romanzo.
“Era cupo come il cielo che stava osservando dalla finestra, affacciata su una grigia strada che tutti i giorni faceva indigestione di autovetture e di rumore assordante. Si alzò dalla scrivania e si recò all’altra finestra, sul retro del suo studio, dalla quale poteva scorgere in alto Perugia, anch’essa avvolta dalla cappa umida che appesantiva il suo umore, veramente nero. Doveva decidersi a cambiare studio, scegliendo un luogo più appartato, privo di quel caos infernale che da anni lo stordiva. Era un’esigenza anche per il suo lavoro e per i suoi clienti, che dovevano proteggere la propria identità; come la persona importante che stava aspettando, una persona molto conosciuta in città e che non avrebbe mai voluto incontrare. Aveva da poco lasciato un altro cliente, che lo aveva pagato profumatamente per il lavoro svolto, di oltre un mese. Gli aveva consegnato delle foto, terribili per la vista di quell’uomo seduto di fronte a lui, e che da quel momento gli avrebbero cambiato la vita. Mentre le fissava, senza dire una parola, gli occhi del suo cliente si inumidirono. “Mi scusi”, gli aveva sussurrato, togliendosi gli occhiali da vista. Erano foto scattate con teleobiettivi, ma che non lasciavano dubbi: foto che immortalavano una biondissima signora in compagnia di un uomo, in macchina, mentre uscivano da un portone e addirittura abbracciati nel centro abitato di un piccolo borgo dell’Umbria”.
a cura di Francesco Ricci