Con “L’enigma dello scorpione” ci troviamo probabilmente in presenza di una svolta nella produzione di Riccardo Pedraneschi. Svolta leggera, svolta morbida, ma che, in ogni caso, resta una svolta. Infatti, se mettiamo a confronto questo romanzo con quelli pubblicati in precedenza (2016, 2017, 2018, 2020) e che vedono come protagonista sempre il commissario Luigi De Pedris, a me pare che accanto agli elementi di continuità emergano anche alcuni elementi di discontinuità. Tra i primi, il più appariscente è sicuramente l’ambientazione senese. Quando parlo di ambientazione senese, non mi riferisco esclusivamente alla toponomastica e alla descrizione attenta e puntuale di strade, piazze, ambienti chiusi. Né ho in mente lo spazio accordato anche stavolta al Palio, con le sue tradizioni, le sue rivalità, la sua storia, i suoi fantini e i suoi cavalli. Nel romanzo Riccardo Pedraneschi nomina anche persone che a Siena tutti conoscono e che tutti possono incontrare, come Massimo Biliorsi e Andrea Milani; inoltre, attraverso degli excursus, lo scrittore recupera alcuni frammenti di storia locale del XVII secolo (Rinaldo da Malborghetto) e, andando ancora più indietro nel tempo, del XIII secolo (il Vicolo delle Carrozze).
Ora, questo amore per la storia di Siena, che altro non è che un aspetto dell’amore che l’autore nutre verso la nostra città, collega strettamente “L’enigma dello scorpione” al “Mistero della Pallacorda” o a “Sangue tra i cipressi”. Così come – ulteriore elemento di continuità – il personaggio di De Pedris, sia nella sfera privata (affetti, passioni, debolezze) sia nella maniera di condurre l’inchiesta, è ormai familiare al lettore, non lo sorprende, non lo turba, un po’ come fa un amico che torna a trovarti dopo un breve periodo di silenzio e lontananza. Perché, allora, parlo di possibile svolta nell’arte di Riccardo Pedraneschi? Perché mai come questa volta, ci troviamo in presenza di una rarefazione dell’azione, al punto che il commissario non è mai testimone di fatti cruenti né questi sono mostrati al lettore nel loro svolgersi. Sia l’uno (De Pedris) che l’altro (il lettore), piuttosto, li apprendono attraverso i discorsi – testimonianze, confessioni – degli altri personaggi coinvolti nella vicenda, come accade, ad esempio, per la colluttazione tra una donna e un uomo all’interno di un’automobile. Insomma, il rapporto tra parole e azioni è tutto sbilanciato a favore delle prime, al punto che la soluzione del caso, come avviene in uno dei gialli di Agatha Christie che vede protagonista Poirot, viene trovata al chiuso di una stanza (della Questura), studiando, soppesando, interpretando gli indizi fino a quel momento raccolti.
Tra questi, un posto di assoluto rilievo è occupato dalle carte del “Mercante in fiera”, che l’assassino o fa rinvenire accanto alle vittime o fa recapitare allo stesso commissario, dopo avere scritto sul retro, però, con un pennarello nero, il nome di una delle diciassette contrade. Una preminenza, quella della parola sull’azione, del chiuso sull’aperto, che sembra volerci suggerire che se lo spazio esterno è il luogo della violenza e del male, che la cronaca può soltanto limitarsi a registrare, è all’interno della mente umana che sia l’una che l’altro rinvengono la loro origine, ed è là, in quei sotterranei dell’anima, che il commissario deve scendere per scoprire la verità: gli appostamenti, le intercettazioni, le irruzioni, i pedinamenti, vengono sempre dopo come importanza. Il passo che segue è tratto dal Prologo, recante l’indicazione “Monteriggioni, mercoledì 22 luglio 2020 ore 3:00”:
“Venticinque Rosso! Così come in un’immaginaria roulette nella vita del commissario Luigi De Pedris era uscito un nuovo numero. Di fianco a lui giaceva completamente nuda una donna che aveva incontrato in via di Città la mattina del 25 maggio di due mesi prima. Era un lunedì e Siena, così come il resto d’Italia, si stava riprendendo piano piano da quel lungo e terribile lockdown che aveva cambiato radicalmente il modo di vivere e pensare di tutti noi. Nel suo cammino verso la Questura, Luigi aveva incrociato lo sguardo di questa splendida bionda che gli aveva prima sorriso con gli occhi e poi gli aveva posto una domanda che, nonostante la sua apparente semplicità, lo aveva oltremodo turbato. ‘Sbaglio o lei è il commissario De Pedris?’. Malgrado la sorpresa fosse stata tanta, senza nemmeno pensare alla singolare normalità della propria risposta sentì la propria voce scandire le seguenti parole: ‘Certo che sono io! Ci conosciamo?’. Come si è soliti dire, “avevano rotto il ghiaccio”, e così nel volgere di due minuti, l’uomo e la donna si ritrovarono seduti a un tavolino in piazza del Campo a bere un caffeino accompagnato da un doppio bombolone alla crema. Lei gli raccontò di essere una giornalista francese freelance, di chiamarsi Daniela e di essere stata sposata. Al momento era impegnata, ma non troppo, e desiderava una relazione particolare con un uomo maturo che ci sapesse fare, senza crearle, così come non avrebbe fatto lei, nessun tipo di problema”.
Riccardo Pedraneschi, L’enigma dello scorpione, Soncini, Parma 2021
a cura di Francesco Ricci