Quando lo studioso di letteratura greca e latina pensa a un genere poetico che sappia coniugare brevità, concentrazione e perfezione formale, pensa inevitabilmente all’epigramma, la cui storia millenaria incontra i nomi di Anite, Nosside, Leonida di Taranto, Asclepiade di Samo, Callimaco, Teocrito, Meleagro di Gadara, Catullo, Marziale, Stratone di Sardi, Pallada di Alessandria, Paolo Silenziario. Invece. quando è lo studioso di letteratura giapponese a volgersi con la mente a un tipo di poesia dal respiro breve e che abbia come temi di fondo la natura e l’amore, a imporsi alla sua attenzione sono lo waka e lo haiku. Il primo è un componimento poetico, costituito da 5 versi per complessive 31 “more” (5-7-5-7-7), che vide la luce sullo scorcio del VII secolo, il secondo consta invece soltanto di tre versi per un totale di 17 “more” (5-7-5) e si sviluppò a partire dal XVII secolo.
In Italia d’Annunzio, Ungaretti, Saba, Quasimodo conobbero gli haiku giapponesi e di questa conoscenza alcune loro liriche serbano traccia, mentre scrissero haiku Jack Kerouac, Jorge Luis Borges, Allen Ginsberg. Allo waka e allo haiku fa riferimento anche il titolo della raccolta poetica di Rodolfo Carelli “Poesie Bonsai”, che costituisce l’esito più alto – per nitore e naturalezza della scrittura – di un serrato confronto, ormai ventennale, con questo genere di composizioni. Il libro si compone di tre parti: la prima dedicata agli haiku, la seconda agli waka, la terza alla loro unione in una stanza composta da 3 haiku e 6 waka, che consente di piegare il testo anche in una direzione narrativa, capace, cioè, di recuperare durata temporale e di accordare spazio alla storia personale e collettiva.
Come nella migliore tradizione giapponese, i singoli haiku contenuti nella prima sezione di “Poesie Bonsai” non hanno titolo, fanno riferimento, in maniera ora diretta ora indiretta, a una stagione dell’anno (o a un momento della giornata), insistono su un dettaglio visivo o uditivo. Originale, invece, appare l’apertura alla contemporaneità (come avviene anche e forse di più negli waka) realizzata attraverso la citazione di oggetti, comportamenti, stili di vita attuali, e l’insinuarsi di una massima di ascendenza e di sapore biblico-sapienziale, che a tratti compensa il taglio eminentemente descrittivo-impressionistico di buona parte dei versi.
“Adoro i monti
ma più mi parla il mare
anche se tace”
“Il pianto in gola
acqua da una grondaia
cade a singhiozzi”
“Un corpo a corpo
così è l’amore finché
uno soccombe”
“La mia amata
non solo al telefono
irraggiungibile”
“Per quanto lunga
la linea della vita
è sempre breve”
“Tutta la notte
abbaiano alla luna
cani e rimorsi”
“Sopra i muretti
di cinta lucertole
ubriache di sole”
“Con un brivido
m’accendo in tua presenza
come un computer”
“Si scioglie come
spuma la neve appena
lambisce il mare”

a cura di Francesco Ricci