L’idea di varietà è insita nell’idea stessa di mosaico. Il materiale, i colori, le dimensioni delle tessere (o tasselli) sono molteplici, sebbene si compongano armoniosamente in un disegno unitario e coerente. Sotto questo aspetto, ogni mosaico può essere definito un organismo: la singola parte acquista senso e rilievo esclusivamente all’interno – e in funzione – del tutto, del generale, dell’universale. La scelta di Rosanna Pavanati di intitolare la sua ultima silloge poetica “Tessere di mosaico” costituisce una puntuale conferma di quanto appena detto. A componimenti brevi, talora brevissimi (tanka e haiku) si alternano componimenti di più ampia misura (alcuni dei testi, ad esempio, appartenenti alla sezione “Alla maniera di…”). Liriche descrittive e con tema pressoché unico il paesaggio – in cui eccelle, a mio avviso, l’arte di Rosanna Pavanati – convivono con liriche dove ad accamparsi al centro della scena è l’io poetico. Poesie dichiaratamente d’occasione, quali sono quelle incluse nella già citata sezione “Alla maniera di…”, si collocano vicino a quelle in cui più fresca e spontanea si mostra l’ispirazione.
Eppure, nonostante questa varietà che coinvolge la forma non meno che i contenuti, “Tessere di mosaico” è una raccolta fortemente compatta e unitaria. Perché? Cosa fa sorgere nel lettore tale impressione? Il fatto che la poetessa con questa raccolta, la terza dopo “Fari e acque” (2016) e “Mediterranea song” (2018), ha scoperto un suo tono, ha trovato un suo tono. E niente più del tono è in grado di conferire unità a un’opera. Ciò vale in massimo grado per il genere lirico e vale in egual misura per la musica che, non a caso, ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato con la poesia (si pensi alla lirica greca di età arcaica, si pensi alla lirica provenzale). Ora, in Rosanna Pavanati suddetto tono è riconoscibile già negli incipit: “Le nuvole di Magritte / pennellate surreali / nel cielo toscano”, “La neve sulla strada / perla ghiacciata brilla”, “Bianco cerchio opalino / riverbera sulle cimase”, “Foglie ballerine / danzanti agli sguardi”. A definirlo è la movenza del verso, la scelta delle parole, la sintassi, l’incanto appena contenuto e frenato dinanzi al miracolo del mondo. La lirica che segue, intitolata “Solitaria pieve romanica”, apre la raccolta, che è impreziosita da due importanti contributi critici: quello di Riccardo Benucci e quello di Francesco Burroni.
Solitaria
la pieve romanica
tra colline ondulate
cangianti al sole.
Gli amici cipressi
a sua guardia.
L’attesa di raggi fecondi
della vigna fiaccata.
Lo sgomento
per lo stridio inatteso
di una cornacchia.
L’asperità assolata
del muretto a secco
a protezione
del fico d’india
spaesato.
Lontana
la silhouette
di un capriolo curioso.
Nel verde acido dell’erba
il guizzo viola
della pervinca.
Rosanna Pavanati, Tessere di mosaico, Betti, Siena 2024
a cura di Francesco Ricci