Fiction & Libri

Silvio Ciappi, L’uomo che non voleva morire

Ci sono libri che ci invitano a compiere un viaggio, fosse pure al termine della notte (l’ineguagliabile Céline), altri che raccontano un viaggio, altri ancora che ci rendono meno piatte le ore trascorse in viaggio. E ci sono poi viaggi che ci chiariscono, come mai era avvenuto in precedenza, il senso profondo di una pagina, di un capitolo, di un libro, letto e riposto tra uno scaffale e un ricordo.

Sono viaggi, questi ultimi, che ci mettono al cospetto delle verità dell’essere umano, a quelle costanti immutabili – a quegli universali – che ci rendono familiari e vicini, familiari perché vicini, i versi in cui Ettore dice addio ad Andromaca, in cui Cavalcante Cavalcanti dà voce all’amore di un padre per il figlio attraverso una semplice domanda, attraverso un semplice passato remoto, in cui Pasolini celebra l’indistruttibile forza del legame che lo unisce a sua madre. Da sempre la letteratura e la vita si rincorrono, molte volte si toccano, si confondono, si mescolano – sono questi i libri che mi interessano – ; qualche volta, però, capita che neppure si parlino, perché chi scrive è persuaso che l’opera letteraria non possa venire interpretata come un discorso sul mondo, bensì debba essere rappresentata come un oggetto linguistico, direbbe Todorov, “chiuso, autosufficiente, assoluto” – sono questi i libri che detesto, sono questi i libri dai quali invito i miei studenti a stare lontani.

“L’uomo che non voleva morire”, l’ultima fatica di Silvio Ciappi, criminologo e psicoterapeuta, è un libro bellissimo, denso, a tratti difficile (laddove più stretto si fa il dialogo col Vangelo di Marco), che si inserisce a pieno titolo nel novero di quei libri, nei quali è l’esperienza concreta, vissuta, sofferta, a rischiarare una verità (una verità in senso tutto moderno, e dunque fragile e sottoposta di continuo a verifica) un giorno intuita e da allora nascosta nel profondo dell’anima. Questa verità altro non è che l’evidenza di un dolore (fisico) e di una sofferenza (spirituale) che da sempre ci interrogano, forse oggi più di ieri, oggi che le dieci persone più ricche al mondo hanno accumulato una ricchezza pari – a ricordarcelo è Bauman – all’economia francese e in cui tre miliardi di uomini vive sotto la soglia della povertà, quegli stessi uomini alcuni dei quali Ciappi ha potuto conoscere direttamente, nel corso dei suoi viaggi in Palestina, India, Algeria, Sudafrica, Brasile, Colombia. Forse Cristo, il pescatore di anime della Galilea, sia che lo si pensi esclusivamente come un uomo o come l’incarnazione di Dio, altro non è stato che uno di quelli che questa evidenza – questa verità – non ha mai creduto che dovesse essere “per sempre”. Quello che segue è un passo tratto dall’introduzione, significativamente intitolata “Il mistero dell’Interlocutore”.

“Questo libro è nato in viaggio, nei tanti luoghi del benessere e della disperazione che ho visto. Una strana attrazione per l’umano ha sempre guidato la mia mano e condotto alla ricerca di simulacri del divino, in ogni luogo, fossero gli assolati dolmen primitivi di Malta, una moschea rinchiusa in qualche viuzza del centro storico di Algeri, una sperduta chiesa copta nella Nubia, o la vorticosa danza di sufi dervisci in un quartiere centrale di Istanbul. Visitare i luoghi ha significato anche sentire il suono di lingue diverse, affascinarmi davanti al suono delle sillabe antiche e sacre degli uomini di fede, all’impasto di consonanti pietrose di una liturgia ebraica o alla fluida cantilena araba di sure del Corano. Lingue che se ti ci avvicini scopri che possiedono qualcosa di profondo, di aspro e crudele. Si narra che i bambini che non conoscono alcuna lingua, parlerebbero spontaneamente l’ebraico oppure l’arabo, lingue semitiche, antiche consonanti che rendono dicibile Dio. Forse sono anni che sto scrivendo lo stesso libro, si tratta di varianti dello stesso tema che ruota intorno alla enigmaticità, alla profondità arcaica, enigmatica, religiosa dell’animo umano”.

Silvio Ciappi, L’uomo che non voleva morire, Gabrielli, Verona, 2017

 

a cura di Francesco Ricci

foto di Francesco Laezza

Francesco Laezza

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Francesco Laezza

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