Lo straordinario successo del “Nome della rosa” di Umberto Eco, nei primissimi anni Ottanta, ha segnato anche la rinascita in Italia del genere del romanzo storico. A conferma è sufficiente citare i nomi di Sebastiano Vassalli (“La chimera”), Vincenzo Consolo (“Retablo”), Roberto Pazzi (“I fuochi del Basento”), Dacia Maraini (“La lunga vita di Marianna Ucria”). Un romanzo storico è anche “Noi altri” di Simona Serchi, ambientato a Siena e nelle campagne intorno a Siena nella seconda metà del XVI secolo.
Il protagonista, Giovanni, un povero mezzadro, possiede un grande talento artistico, che esprime nel fare disegni (prediligendo come soggetti gli alberi, gli animali, gli edifici) e nel costruire dalle conigliere ai muretti intorno casa. Nonostante le difficoltà private – la difterite che si porta via uno ad uno tutti i suoi fratelli – e a quelle legate alle conseguenze della caduta della Repubblica di Siena, questa passione non viene meno, dal momento che per lui costituisce la vocazione più intima e più autentica (sotto questo punto di vista, “Noi altri” può essere interpretato anche come un “Bildungsroman” o “romanzo di formazione”).
E sarà proprio l’arte, insieme all’amore per Emilia, a consentire la crescita, sociale e umana, di Giovanni, sino all’epilogo della vicenda dal sapore indiscutibilmente manzoniano. Quello che segue è l’inizio del secondo capitolo, dove a venire tratteggiata è la situazione familiare della giovanissima Emilia, che si fa anche ritratto della mentalità dominante dell’epoca, che tendeva a relegare la donna ai margini, comunque ai margini, della società, a partire da quella che ne costituisce la cellula primaria.
“Emilia non sopportava più sua madre. Non ce la faceva più a essere comandata a bacchetta. Glielo aveva già detto, ma la mamma l’aveva zittita dicendo che una donna doveva solo ubbidire e che doveva abituarsi, tanto sarebbe stato sempre così. Così però non era per i suoi fratelli che facevano quello che volevano. I signorini si davano troppe arie. Si credevano figli di chissà chi e si scordavano che erano solo i casieri di quella bella villa, non i proprietari. E invece se ne andavano a cavallo, quando i padroni non c’erano, con la scusa di controllare i terreni e facevano la voce grossa anche con lei. Guai se la trovavano senza fare niente, con le mani in mano come dicevano loro. “Emilia vai a raccogliere la legna, accendi il fuoco, vai alla fonte a prendere l’acqua” la comandavano, come la mamma. Meno male che c’era il babbo che ogni tanto la difendeva. Se fosse stata un ragazzo sarebbe scappata, o forse, se fosse stata un ragazzo, avrebbe fatto come i suoi fratelli: comandare era piacevole, molto più che ubbidire”
Simona Serchi, Noi altri, BookSprint Edizioni, 2016
a cura di Francesco Ricci