Quando si pensa a Praga, si pensa a Franz Kafka. Quando si parla di Trieste, si parla (anche) di Italo Svevo. Quando il pensiero corre a Siena, il primo scrittore a venire in mente è Federigo Tozzi, a tal punto forte – strutturante – appare il legame che unisce la città del Palio con l’autore di “Con gli occhi chiusi”, “Tre croci”, “Bestie”, “Il podere”, la cui statura europea, a partire dal memorabile saggio di Giacomo Debenedetti (ora contenuto nel “Romanzo del Novecento”), è un dato ormai acquisito da parte della critica. E proprio all’opera in prosa di Tozzi (novelle e romanzi) è dedicato l’ultimo lavoro di Simonetta Losi, docente presso l’Università per Stranieri di Siena.
In “La lingua ‘senese’ di Federigo Tozzi”, infatti, come già suggerisce il titolo – e come chiarisce il sottotitolo “tra derivazioni letterarie e tradizione popolare” – Simonetta Losi appronta un’ampia raccolta lessicale, un vero e proprio glossario (da “a bacio” a “zòzza”) di parole ed espressioni che ricorrono nella prosa del grande scrittore, il cui significato, a chi non ha dimestichezza col senese, può risultare non sempre del tutto chiaro. Si pensi, a titolo di esempio, al verbo “fognare” nel senso di “costruire le fogne”, o “frinzello” nel senso di “cicatrice che deturpa” o, ancora, a “pispino” nel senso di “zampillo”.
Grazie anche ai contributi critici di Claudio Marazzini, Roberto Barzanti, Duccio Balestracci, emergono con chiarezza le due componenti fondamentali della lingua di Federigo Tozzi. Da una parte, abbiamo la componente popolare, affidata alla tradizione orale, e che di generazione in generazione è giunta sino ad oggi; dall’altra, abbiamo la componente letteraria, contraddistinta da una patina arcaica frutto della confidenza dell’autore con l’opera di Cecco Angiolieri, Santa Caterina, San Bernardino.
Insomma, “La lingua ‘senese’ di Federigo Tozzi, è un libro da tenere accanto a sé, mentre si legge, o si rilegge, l’opera di questo grandissimo scrittore. Il passo che segue costituisce l’inizio dell’introduzione di Simonetta Losi e aiuta il lettore a comprendere le peculiarità della lingua che si parla a Siena e tra Siena e Grosseto, dove è possibile ascoltare, secondo Giacomo Devoto, “l’italiano più italiano”.
“Una lingua viva e a tratti pungente, con espressioni che “arrivano prima all’osso che alla pelle”; una lingua densa di affascinanti arcaismi, piccata nel dare un nome alle proprie cose che può essere quello e solo quello, pena il marchio di disconoscimento come “non senese”. Il vernacolo senese, che dall’alto della sua cultura eminentemente cittadina dà del “gazzilloro” a chi è rozzo fuori, ma soprattutto dentro, che dà dello “sciabordito” a chi si fa cullare per troppo tempo da un’acqua mossa che è estranea alla città, che utilizza con disinvoltura “cancelliere” e “camerlengo” come incarichi attualissimi, è legato in maniera indissolubile alla secolare civiltà di Siena e alle sue impareggiabili tradizioni. Ogni parola, ogni espressione, ha molte storie da raccontare, che ci portano a spasso nei secoli di una città piccola che ha prodotto cose grandi, e che siccome “il troppo stroppia” le ha perdute, trovandosi a dover meditare sulla Ruota della Fortuna che si trova in Cattedrale e sugli insegnamenti filosofici del suo Palio, dove la Sorte è regina, dove si deve “nerbare” fino allo scoppio del mortaretto e dove – nella sconfitta e nella “purga” – “ci si mette a picca” e si prepara “la ringollata”. La penna e l’acume del fiorentino Indro Montanelli hanno affermato che “a Siena si parla la lingua delle Madonne e dei Messeri” e chi avesse possibilità di fare un po’ di pendolarismo tra Siena e Firenze “si accorgerebbe da sé, ad orecchio, della differenza che passa tra il linguaggio gergale, spesso sguaiato e compiaciuto della propria sguaiatezza, dei fiorentini, e quello di farina pura, che di gergale non ha nulla, dei senesi”: non la lingua dei senesi delle classi colte, ma quella che si coglie sulla bocca dei contradaioli senesi, siano essi dei piccoli negozianti, o artigiani o netturbini, o signori con tanto di antenati e di blasoni”.
a cura di Francesco Ricci
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