Gli anni mutano in profondità non solamente le cose, ma anche lo sguardo sulle cose. A volte lo rendono più opaco, altre volte più limpido. Sempre, però, lo cambiano. Quella stanza, quell’aula, quel parco, quella bottega, quella riva, quella strada, quel sentiero, se traguardati attraverso la lente del tempo ci appaiono ora bellissimi ora orribili, ora li sentiamo del tutto estranei ora più dolci di un bacio sognato e finalmente arrivato; in ogni caso, siamo consapevoli che tanto l’impressione che ci procura il rivederli quanto l’emoziona che ci dona il tornare a visitarli, sono diverse da quelle che provammo in stagioni ormai lontane della nostra vita.

È proprio vero, gli anni mutano le cose e lo sguardo che posiamo sulle cose.  Eppure, c’è qualcosa che si sottrae a questa incessante e inevitabile metamorfosi di colori, di forme, di profili, di risonanze sentimentali. Qualcosa che, per così dire, all’interno di una geografia reale e dell’anima ha il potere – per grazia o per buona sorte – di restare sempre uguale, come alcune cime montane che neppure i venti più forti possono alterare o scalfire.

Questo qualcosa è ciò che abbiamo amato, in giorni remoti, di un amore assoluto, gratuito, puro, quale è, ad esempio, l’amore che si prova per la propria città, città di nascita, città di elezione, ma, comunque, città percepita essere senza uguali e senza confronto. E proprio l’amore per Siena costituisce, assieme al motivo del viaggio, il filo rosso che unisce i racconti del volume collettaneo “Sinfonia senese”, da pochi giorni in libreria. Sulla scia di un recupero memoriale o di un ritorno reale, infatti, i personaggi delle ventuno prose, per lo più brevi, riscoprono l’incanto della città del Palio – ma anche della Valdelsa e delle Crete senesi – e riannodano i fili del proprio passato, scoprendo che se la maturazione dell’individuo comporta inevitabilmente congedi, perdite, partenze, scelte anche dolorose, la nostra “città del destino” sa sempre riabbracciarci, ci ricorda che qualcosa resta, resta sempre, è pronta ad aspettarci, fosse anche per una vita intera, estremo e unico punto fermo  in un universo dove tutto muta e ci muta. Il passo che segue è tratto dalla prefazione di Mirko Tondi, che ha curato il volume:  

“Voglio cominciare questa breve introduzione all’opera citando una parola chiave, che ritroverete anche nella pregevole postfazione di Massimo Granchi. La parola è “viaggio”. Difatti si conclude con questo volume un viaggio mi ha consentito di girare per tre diverse città percorrendone le vie e le piazze, i centri splendenti e affollati di turisti, le periferie spesso territorio abitativo di gente del posto, le campagne circostanti e i concentrati urbani, i luoghi più conosciuti ma anche i sobborghi e persino gli anfratti. Dopo aver inaugurato la serie con “Tutte le facce di Firenze” a ver proseguito il giro con “L’altra metà di Pisa” (entrambi pubblicati nel 2017, rispettivamente a inizio e fine anno), ho pensato di concludere questa ideale trilogia con una città alla quale mi sento tuttora legato nel profondo.  Ho vissuto per alcuni anni della mia adolescenza a circa trenta chilometri da Siena, dove ho ancora amici che mi capita di frequentare. Ricordo le scuole medie e il tragitto che facevo ogni giorno, scendendo a San Domenico con il pullman e poi, passando per la Lizza, incamminandomi in direzione di Porta Camollia. Ricordo di quando, a dodici anni, andai a vedere con due amici il “Batman” di Tim Burton al cinema Metropolitan in piazza Matteotti (quella che i senesi chiamano più comunemente “piazza della Posta”). Ricordo quella ragazza che si chiamava Berenice e alla quale non ho mai detto che mi piaceva. Ricordo che iniziavo a crescere, andavo alle feste di contrada e qualche volta pure a vedere il Palio in piazza del Campo. E poi ricordo quella nostalgia che mi prende lo stomaco in tutte le occasioni che ritorno a Siena”.

AA.VV. , Sinfonia senese, Edizioni Il Foglio, Piombino 2018

a cura di Francesco Ricci

Francesco Laezza

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