“Antonia”, il film d’esordio di Ferdinando Cito Filomarino, che ripercorre le fasi conclusive della breve vita della poetessa milanese Antonia Pozzi, morta suicida all’età di soli ventisei anni, sottolinea opportunamente l’importanza che ebbe per la scrittrice la lettura di “Tonio Kröger”, il lungo e bellissimo racconto composto da Thomas Mann nel 1903. Inarrivabile – e in larga misura autobiografico – ritratto di scrittore da giovane, “Tonio Kröger” presenta come tema di fondo il contrasto tra la sobria normalità borghese e le spinte irrazionali dell’arte. Da un lato, infatti, abbiamo le persone “sane”, come Hans Hansen (capelli biondi, occhi azzurri), l’amico del protagonista, e Inge Holm (anche lei appartenente a quella “specie chiara, dagli occhi azzurro acciaio, bionda”), la ragazza amata da quest’ultimo, ma che finirà sposa del primo; dall’altro, abbiamo le persone “malate”, come lo stesso Tonio (carnagione scura, occhi neri), che, dominato dal demone della scrittura, demone esigente, demone che non ammette distrazioni, non sa né può prendere parte alla vita, la vita dei più, la vita dominata dall’ordine e dalle convenzioni sociali, dall’etica del lavoro e dalle buone e vecchie consuetudini. Quella che segue è la parte iniziale del secondo capitolo, dove Mann descrive il momento in cui il protagonista si scopre innamorato di Inge. Pagina straordinaria, questa, che ha anche il merito di ricordare al lettore che è sempre un gesto, un dettaglio, un atto, a farci innamorare di una persona, come la timida grazia di Natascia Rostova (in “Guerra e pace”), come il canto ricco di passione di Ol’ga Sergeeva (in “Oblomov”), come lo sguardo pieno di malinconia e pietà di Clelia (nella “Certosa di Parma”), come l’allegria di Inge nel piegare da un lato, mentre ride, la testa.
“Come era avvenuto? L’aveva vista mille volte; ma una sera la vide in una certa luce, vide come, chiacchierando con un’amica, gettava da un lato, in un certo modo molto allegro, ridendo, la testa, come portava in un certo modo la mano alla nuca, una mano affatto particolarmente sottile di ragazza, mentre il velo bianco della manica scivolava indietro sul suo gomito, sentì come sottolineava una parola, una parola qualunque, e c’era un’eco calda nella sua voce, e l’entusiasmo colse il suo cuore, molto più forte di quello che un tempo aveva a volte sentito, guardando Hans Hansen, allora, quando era ancora un semplice ragazzino. Quella sera si portò via con sé l’immagine di lei, con la spessa treccia bionda, gli occhi dal taglio lungo, ridenti, e quella manciata, teneramente vistosa, di efelidi sopra il naso, e non riusciva a dormire, perché sentiva l’eco della sua voce, e cercava di imitare sommessamente l’accento con cui aveva pronunciato quella parola qualunque, e intanto rabbrividiva. L’esperienza gli diceva che quello era l’amore. Ma benché sapesse con precisione che l’amore gli avrebbe recato molto dolore, tormento e umiliazione, e che, inoltre, esso distruggeva la pace e colmava il cuore di melodie, impedendogli di trovare la tranquillità per dare forma piena a una cosa e per trarne in tutta quiete qualcosa di compiuto, l’accolse tuttavia con gioia, vi si abbandonò interamente e lo curò con tutte le forze del suo animo, perché sapeva che esso rende ricchi e vivi, e lui ambiva essere ricco e vivo, invece che forgiare qualcosa di compiuto in tutta quiete…”.
Thomas Mann, Tonio Kröger, Milano, Feltrinelli, 2013
a cura di Francesco Ricci