Fiction & Libri

Tomas Bassini, È stato l’amore la grossa fregatura, Galassia Arte, Roma 2014

L’amore resta il grande inspiegabile della vita. Non si può mai dire con esattezza cosa sia stato a farci innamorare di una persona, cosa a farci disamorare. E anche quando uno dei due se ne va – ma perché, c’è stato forse un istante nel quale furono veramente insieme? –, le ragioni che vengono addotte per spiegare la separazione, nome delicato che copre l’orrore del fallimento esistenziale, sono il più delle volte dei penosi tentativi di chiarire ciò che si sottrae, per sua natura, a ogni spiegazione. L’amore, infatti, al pari della bellezza, non è solamente lo scenario che dà senso alla vita, ma è anche il palcoscenico sul quale logica, calcolo, utilità sono personaggi non ammessi.

“È stato l’amore la grossa fregatura”, la raccolta di versi di Tomas Bassini, ci restituisce proprio questa idea dell’amore, e lo fa adottando il tono ora della confessione resa a se stesso ora della confidenza fatta a un amico. Confessione e confidenza, sia chiaro, che appartengono al dopo-amore, al dopo-frequentazione, al dopo-vita insieme. Ma dopo è avverbio, è preposizione, che parla di giorni come parla di secoli. Ecco, diciamo allora che “È stato l’amore la grossa fregatura” temporalmente rimanda al passato prossimo, quando la ferita dell’addio non si è ancora del tutto rimarginata, quando una canzone o un profumo sono ancora in grado di farci trasalire e di farci trascolorare, e anche libertà è parola che sa evocare l’idea di carcere non meno che di prateria, che si stende finalmente davanti a noi, disponibile e seducente come una giornata estiva di sole.

Le stesse scelte stilistiche che Bassini opera – una metrica libera, un verso lungo, la sintassi lineare, il lessico comune, il rifiuto di ogni facile cantabilità – sono perfettamente coerenti con quanto osservato. Recuperando, infatti, la lezioni di Giovanni Giudici, in particolare del Giudici degli anni Cinquanta, nelle cui liriche l’io appare ancora fortemente individuato, e di Milo de Angelis – penso soprattutto a “Tema dell’addio” – Bassini conferisce alle poesie l’andamento di un colloquio ad alta voce, possibile e credibile unicamente all’interno di un contesto quotidiano, comune, prosaico, che rifiuta ogni posa eroica. Sono pensieri ad alta voce, sono parole che vengono ripetute e limate prima di essere affidate a un messaggio sms o a una telefonata, sono appunti di un diario segreto, sono tentativi velleitari di capire la tempesta che ha sconvolto i nostri giorni e che, una volta passata, ci accorgiamo che ha mutato una volta per tutte il nostro paesaggio interiore. Eppure, a chi le rilegga, queste poesie, che hanno il dono dell’immediatezza e della spontaneità, appaiono un frutto maturo del classicismo, se è vero, come è vero, che alla base di ogni poetica classicista agisce il principio in base al quale “ars est celare artem”. La poesia che segue si trova a circa metà del libro.       

 

Mi dirai se è servita la pena di sforzarsi,

se occorreva dare retta agli avventizi

e prenderli per buoni con una frase popolare.

Sono le storie che ci raccontiamo a farci più tranquilli.

E non cambiamogli nome a quelle che ci passiamo,

che le storie sono uguali a come le abbiamo capite.

Allora sì, sarà servita pure una certa formazione,

arrivare, pure fuori tempo, alla nostra fine popolare.   

 

Tomas Bassini, È stato l’amore la grossa fregatura, Galassia Arte, Roma 2014

 

a cura di Francesco Ricci

foto di Francesco Laezza

Francesco Laezza

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