La storia di un ospedale psichiatrico, specie quando si tratta di una storia secolare, finisce sempre col parlarci della società e del clima sociale di un certo periodo. Il folle, infatti, in quanto incarnazione per eccellenza del “diverso”, suscita con la sua semplice presenza interrogativi e provoca reazioni.
Allontanarlo dalla vista? Conviverci? Prevedere uno spazio specifico dove sorvegliarlo? E dove collocare suddetto spazio, all’interno o all’esterno della polis? A seguirlo nel suo percorso di vita, poi, è sufficiente che siano dei secondini o dei medici? Per lungo tempo la follia, non essendo stata riconosciuta come una delle tante possibilità dell’essere-nel-mondo da parte dell’uomo, ma venendo giudicata una forma radicale di infrazione della norma, di sovvertimento della regola, ha determinato reazioni ora di occultamento della patologia ora di paura, quasi che la maggior parte delle violenze non avessero luogo, in realtà, tra i cosiddetti “normali”.
L’esito conclusivo è stato, come ci ricordano, tra gli altri, Mario Tobino, Alda Merini, Eugenio Borgna, il sistematico calpestare la dignità di uomini e donne che, una volta entrati in manicomio, hanno finito per trascorrervi l’esistenza intera, anche quando nella follia non erano immersi, ma dalla follia erano semplicemente lambiti o, addirittura, ad essa erano estranei. Vincenzo Coli e Maurizio Gigli ci raccontano quanto accaduto, nel periodo immediatamente postunitario, nell’ospedale psichiatrico di Siena, il San Niccolò, dove si conservano circa cinquantamila cartelle cliniche (che coprono un arco temporale che va dal 1846 al 2000) e oltre ventimila fotoritratti. Individuando in questo materiale d’archivio imponente tre vicende – quella di Virgilio B, uxoricida, di Emilio M., alias Piero di Lorena, monomaniaco intellettuale, di Suor
Ersilia G., che abusò del pentimento religioso – gli autori aprono uno squarcio in quello che è stato uno dei più importanti manicomi italiani, autentica “città nella città”. Il passo che segue è tratto dall’introduzione curata da Coli e Gigli.
“Tre storie. Tre voci dal silenzio. Una goccia nel mare delle migliaia di storie che erompono drammaticamente dalle cartelle cliniche custodite nell’Archivio Storico dell’ex Ospedale Psichiatrico San Niccolò di Siena. Vite negate di donne e di uomini, per lo più di umili condizioni, gravati dallo stigma della malattia mentale e per questo esclusi dal mondo civile, da un universo di relazioni e di affetti. Precipitati in un mondo a parte, in cui la cura consonava con la coercizione, l’orizzonte quotidiano escludeva dignità e speranza, e il viaggio nelle patologie riconosciute, spesso, non prevedeva il biglietto di ritorno. Bastava una diagnosi di depressione, e i cancelli del manicomio si chiudevano alle spalle di tanti sventurati. Anche questa forma aveva la banalità del male. Circa duecento anni fa iniziava la sua attività il San Niccolò, giusto quaranta anni fa venne approvata la legge Basaglia, che quella “istituzione concentrazionaria”, come la chiamavano i sociologi e medici più sensibili, riuscì a cancellare dopo lunghe battaglie”.
Bruno Alfonsi, Novelle per il Terzo Millennio, Betti, Siena, 2016
a cura di Francesco Ricci