Una volta il giornalista Lorenzo Mondo ha scritto che “dare voce agli assenti è la suprema forma d’amore”. Parlare al posto di coloro che non possono – non hanno mai potuto – parlare. Come i perseguitati politici, gli esuli, gli analfabeti, le vittime dei genocidi e delle tante guerre dimenticate, la povera gente, i reclusi, i folli. Tutti quelli che si sono trovati dalla parte sbagliata della strada, sotto l’ala piombata della Storia, e che non hanno incontrato nessun angelo – le inarrivabili considerazioni di Walter Benjamin in “Angelus Novus” – che si sia volto indietro a guardare chi, sotto quell’ala, è rimasto schiacciato. Inascoltati e invisibili. Fantasmi di uomini e di donne. Sì, dare voce agli assenti è un grande gesto d’amore. È anche per questa ragione che sono felice di presentare il libro di Vincenzo Coli e di Maurizio Gigli, intitolato “Voci dal silenzio”.
Perché restituisce un nome a chi un nome neppure più pareva averlo, perché rende la vita a chi la vita, in un giorno come tanti, espulse dal proprio perimetro, relegandolo là dove tutto tende ad essere dimenticato, nascosto, cancellato. Quasi che questi pazzi, questi esagitati, questi malati di mente, che un tempo sarebbero stati caricati su un’imbarcazione e affidati alle acque, come nella “Stultifera navis” dipinta da Hieronymus Bosch, non fossero mai esistiti, non avessero mai goduto della luce del sole, non avessero mai posato il loro sguardo sul mondo e sulle cose del mondo.
Ora, grazie a Vincenzo Coli e Maurizio Gigli, Virgilio B. (uxoricida), Emilio M. (monomaniaco intellettuale), Suor Ersilia G. (che abusò del pentimento religioso), ci vengono incontro da un tempo che ci pare remoto quanto lo sono le galassie, tempo misurabili non in decenni o in secoli, ma in silenzi. I silenzi di chi pensò di cancellare con una cittadella (l’ospedale psichiatrico) dentro la città (anche a Siena) vissuti, dignità, sensibilità, perché gli occhi dei benpensanti hanno in odio la diversità non meno che la colpa, la dissonanza non meno che il vizio: recludere, dunque, per escludere. Il passo che segue è tratto dall’introduzione scritta a quattro mani dagli autori, Il volume è impreziosito da due saggi, uno di Pietro Clemente e uno di Andrea Friscelli.
“Tre storie. Tre voci dal silenzio. Una goccia nel mare delle migliaia di storie che erompono drammaticamente dalle cartelle cliniche custodite nell’Archivio Storico dell’ex Ospedale Psichiatrico San Niccolò di Siena. Vite negate di donne e di uomini, per lo più di umili condizioni, gravati dallo stigma della malattia mentale e per questo esclusi dal mondo civile, da un universo di relazioni e di affetti. Precipitati in un mondo a parte, in cui la cura consonava con la coercizione, l’orizzonte quotidiano escludeva dignità e speranza, e il viaggio nelle patologie riconosciute, spesso, non prevedeva il biglietto di ritorno. Bastava una diagnosi di depressione, e i cancelli del manicomio si chiudevano alle spalle di tanti sventurati. Anche questa forma aveva la banalità del male. Giusto duecento anni fa iniziava la sua attività il San Niccolò, giusto quaranta anni fa veniva approvata la legge Basaglia, che quella “istituzione concentrazionaria”, come la chiamavano i sociologi, e medici più sensibili, riuscì a cancellare dopo lunghe battaglie. Questo piccolo libro è il frutto di una ricerca condotta recentemente. Abbiamo deciso di “drammatizzare”, non per sminuirle ma per renderle meglio accettabili ai lettori, tre vicende esemplari eppure comuni, ricorrenti nelle cartelle cliniche”
a cura di Francesco Ricci
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