In quel volto, dove occhi e bocca si aprono in spazi indefiniti, dove solo la leggerezza del tratto indica la femminilità, è racchiuso il misticismo della fede, in grado di abbracciare l’universalità. Come il manto, celeste, che avvolge un corpo non corpo, dal quale emergono gli stemmi delle Contrade. Un simbolismo iconografico capace di richiamare cristianità e senesità. Le Contrade sono nel grembo di Maria. In verticale. Fanno parte di lei. Come la stessa città di Siena che, due volte l’anno, dedica la sua Festa alla Vergine.
Francesco Clemente nella realizzazione del Palio è riuscito a traslare la sua idea di sacralità e, in una sorta di fascinazione, con colta abilità pittorica ha velato il dipinto. Come il Cristo velato della sua Napoli, il drappo di seta rimanda a sensazioni di trasparenza, incita a cercare oltre il guardare.
Sarebbe riduttivo inquadrare Clemente nella Transavanguardia o nel Post-moderno, perché riesce a travalicarne i confini con un personalismo creativo che carica di innovazione ciò che è già novità.
Radici e retaggi culturali diventano marche connotative per la sua concettualità estetica in un lavoro in divenire. Già la scelta dei colori e le vicinanze applicate ribadiscono la sua voglia di continua ricerca. Nessun forte cromatismo. La tavolozza di Clemente ha scelto, solo, tonalità leggere lavorando con: giallo, celeste, salmone, verde acqua e arancio. In rosa l’abito della Madonna.
Un ricordo antropologico per unire i due contrasti-incontri dell’umanità. Il maschile e il femminile, nell’immaginario collettivo. Ma anche natura e cultura, le due entità che ritroviamo nella corsa senese.
Il drappo si legge nel suo insieme. Niente primi o secondi piani. Tutti gli elementi riportati emergono all’unisono, perché gli uni fanno parte degli altri. Abolite le gerarchie regolate dall’occhio, in modo che la storia e la committenza dell’oggi possano stare sullo stesso piano, in un continuum tra passato e presente.
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