di Alessandro Masi, sindaco di Sovicille
All’ultimo meeting di Rimini il presidente del Parlamento Europeo, il tedesco Martin Schulz, ha detto: “ Ho una preghiera per Voi: abbiamo bisogno dell’Italia! (…) L’Italia è stata uno dei cuori della democrazia e ha posto una pietra fondamentale della fondazione dell’Europa. (…). Parliamo sempre e solo di cifre e non di persone! Io voglio un’Europa dove l’uomo torni al centro della discussione politica, com’era nel pensiero dei suoi padri fondatori, che dopo mezzo secolo di odio e guerra hanno visto che insieme potevano diventare più forti. Così hanno saputo costruire un’unità di pace, che ha permesso alla mia generazione di non soffrire la fame o la violenza delle bombe”.
Chi scrive queste poche riflessioni non è né uno statista né un profeta: ma anche una piccola esperienza amministrativa nei nostri enti locali insegna che ogni ragionamento che non si sforzi di contestualizzare i problemi almeno nell’ambito europeo oggi è destinato a costruire tesi parziali e soluzioni non sostenibili.
Anche un territorio come quello senese ha più che mai necessità che i grandi temi della banca, delle biotecnologie, dell’innovazione e della green economy, della ruralità, dei saperi e della cultura abbiano l’Europa come riferimento di progettazione. Un’Europa che è ancora troppo mercato e troppo poco istituzione; un mercato, oltretutto, che ha ambizione di essere anche luogo di democrazia, ma che insieme alla sua ricchezza determina ancora una media del 50% della disoccupazione giovanile e sancisce al momento difficoltà di accesso al credito per le piccole e medie imprese.
Forse, più Stati Uniti d’Europa e meno mercato potrebbero rappresentare una nuova frontiera di rilancio per i più deboli e per affermare un policentrismo europeo che torni a riconoscere non solo in Germania ma anche nel nostro Mediterraneo luoghi di crescita e costruzione di una nuova civiltà. In questo senso, il nostro Paese ed i nostri territori possono dare un contributo culturale significativo, non solo con la capacità creativa del genio italiano, ma anche con uno sforzo di sintesi della sofferenza sociale e politica di questi anni capace di produrre nuovi modelli di welfare e di lavori. E comunque l’Italia deve sforzarsi di contare di più in Europa.
Quindi, fortifichiamo nella sostanza i gemellaggi tra i nostri territori e le diverse nazioni d’Europa, incoraggiamo la formazione e gli studi dei giovanissimi e gli approfondimenti dei meno giovani: curiamo la relazione con l’Europa con lo stesso spirito degli antichi mercanti senesi e dei maestri della nostra antica Università. Non ricerchiamo solo i bandi di finanziamento delle misure europee, seppure fondamentali: sforziamoci di studiare di più le buone pratiche di una dimensione culturale più ampia, apprezzando di più l’orizzonte internazionale come fattore domestico e naturale della nostra vita.
Allora, interrogarsi d’Europa in qualunque confronto su una questione locale non deve significare rilanciare la palla oltre la metà campo per sfuggire la responsabilità delle soluzioni: anche a Siena diventa adesso un modo necessario per affrontare più utilmente la nostra quotidiana discussione.