Ho letto della intelligente iniziativa assunta dalle due massime autorità istituzionali della provincia per un nuovo metodo per costruire una strategia concertata di sviluppo economico e sociale. Bene, perchè questa è la stagione delle scelte. Mi è venuto in mente un libro intitolato Lo spazio di una città (Siena e la Toscana meridionale, nel medioevo), di Odile Redon, nel quale si indaga sul grande territorio che fra il tredicesimo e metà del XIV secolo aveva il proprio fulcro nella città di Siena. Nell’era che la storiografia definisce come età comunale, la Toscana meridionale era infatti il Senese. Un territorio interdipendente, che mantenne una struttura di democrazia comunale che rifiutò ripetutamemente ogni tentativo di signoria.
La probabile rarefazione delle amministrazioni provinciali sotto il piccone delle semplificazioni un tanto al metro (senza razionalizzare al contempo la burocrazia provinciale di derivazione statale) apre un vuoto che sembra dovrebbe essere occupato dalla programmazione regionale e dalla gestione da parte dei principali Comuni o di associazioni di Comuni. Non mi aspetto moltissimo da un eventuale Patto con la Regione Toscana che lo stipulerà anche con tutti gli altri territori, a meno che non venga preceduto dalla definizione di ciò che vuole in futuro essere la nostra (ex?) provincia, di quali priorità vuole mettere in campo e di quali siano le direttrici del rilancio. A mio parere non si può prescindere da una visione che non coinvolga tutti i cento Comuni delle province di Arezzo, Siena e Grosseto perchè le vere scelte strategiche ormai si fanno a questo livello, che fra l’altro consentirebbe anche di resistere a una Regione che si mostrasse troppo invasiva. Dovremmo poi accelerare i percorsi di associazionismo fra Comuni per rafforzare i processi decisionali, mantenendo l’unità politica del territorio senese che è sempre stato il nostro valore aggiunto nei confronti col resto della Toscana. Forse dovremmo anche riporre nel cassetto taluni progetti magari affascinanti ma oggi irrealistici, come, ad esempio, nuovi scali merci, la metropolitana di superficie, il decollo dell’aeroporto di Ampugnano, nuove autostrade dell’acqua, ed in generale tutte quelle opere che necessitano di enormi stanziamenti e/o che non siano autosufficienti nella gestione. Poichè non si potrà contare a lungo sulla leva del debito pubblico, occorre creare le condizioni per attrarre capitali privati, impegnandosi per ambiti favorevoli per gli investimenti, seppur senza stravolgere paesaggio ed ambiente e garantendo dignità al lavoro e prospettive per i giovani. Credo che nei futuri scenari saranno determinanti le figure dei sindaci dei Capoluoghi di provincia. Non solo perché tutti i sondaggi evidenziano che i sindaci sono fra i pochi politici di cui ancora si fidano i cittadini, bensì perchè stiamo entrando in una fase – come hanno capito Ceccuzzi e Bezzini – in cui la cabina di regia passerà nelle mani di un board di amministratori rappresentativi di aree, coordinati dal sindaco del capoluogo, che si confrontano costantemente col sistema socio-economico locale. Questo è un passaggio delicato, nel quale il sindaco del capoluogo diventa qualcosa di più che il primo cittadino della propria città e cerca progressivamente di rappresentare un territorio più vasto. Un territorio con molte anime (ad es. manufatturiera, agricola, turistica) e con molte risorse, qual’è oggi la provincia di Siena, anche in astinenza dalle erogazioni della Fondazione Mps. Odile Redon evidenzia, nelle conclusioni del suo libro, fra i limiti della cultura senese dell’epoca un atteggiamento eccessivamente difensivo che oggi potrebbe, aggiungo io, impedire di aprirsi alle nuove opportunità che pure ci sono all’orizzonte.
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